Incontri

In meno di due settimane partiremo per lo Sri Lanka.

Nel mese di luglio abbiamo incontrato, conosciuto e stretto amicizia con tanti Tamil che abitano nella città di Palermo: musicisti, sarti, attivisti, collaboratori domestici, negozianti, studenti.

Nel chiedere loro aiuto e consigli per costruire il nostro itinerario, abbiamo indirettamente ascoltato tante storie “sminuzzate” e altrettante ci sono state taciute.

Queste piccole frasi, aneddoti, date di partenze e di ritorni ci sembrano così legate ai luoghi che ci sono stati suggeriti. Tutto ciò non può che dare un peso diverso al viaggio che ci apprestiamo a compiere. E non può che portarci a “leggere” sotto una luce diversa anche Palermo.

Privato e politico, memoria personale e collettiva risultano profondamente intrecciati: a volte si confondono, a volte si scontrano e si feriscono.

Ma sia chiaro che abbiamo sempre evitato di entrare nell'intimità dei ricordi e dei pensieri dei nostri interlocutori. Non è questo il nostro intento. E ciò che racconteremo di questi incontri non è il risultato né di una forzatura né di un'invadenza (ci auguriamo) da parte nostra.

Alla nostra domanda - "in quale luogo dello Sri Lanka ci manderesti?" - di volta in volta riformulata secondo le esigenze del contesto, ognuno è stato libero di dire quello che voleva, sentiva, credeva, capiva.

C’è infatti chi non vuole dimenticare il recente passato della guerra civile, c’è chi non vuole condividerlo; c’è chi vuole presentare il proprio Paese nelle sue tinte migliori e chi, invece, ne esalta i contrasti. C’è chi è nato a Palermo e in Sri Lanka non è mai andato. Chi lo ha visto solo da bambino e ha difficoltà a ricordare persino i nomi delle zone in cui ha vissuto e chi, invece, è riuscito a tornare di recente. C’è anche chi non può permettersi di ritornare accanto ad altrettanti Tamil che riescono a partire per le vacanze. Qualcuno di loro ci farà compagnia mentre saremo a Jaffna e nei suoi dintorni.

Ma la banalità di una domanda - "in quale luogo dello Sri Lanka ci manderesti?"- sta costruendo il nostro progetto e cucendo la mappa del nostro viaggio.

E così siamo stati catapultati da un villaggio ad una spiaggia, da un traghetto ad un autobus, da una montagna ad un tempio, da un matrimonio ad un mercato, da una scuola a case che non esistono più.

Non potremo ovviamente visitare tutto. E fra attraversamenti e soste, ci saranno anche delle probabili deviazioni. Ma siamo abbastanza sicuri che in questo andare, in cui abitare e viaggiare rivelano profondi e inconsueti legami, a nostro modo un altro senso di radici possa prendere forma.


Laura, Francesca e Giuseppe.


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La casa dello zio

Sono le quattro del mattino. E piove incessantemente. I nostri zaini sono pronti, accucciati sotto la tettoia. Noi un po’ meno. Un attò ci aspetta davanti al cancello per portarci alla stazione dei bus di Jaffna. Da lì il nostro viaggio proseguirà per Kandy. I festoni floreali appesi in occasione del matrimonio si sono abbassati sotto la furia dell’acqua e dobbiamo scansarli per arrivare all’uscita. Per fortuna lo zio di T. ci accompagna ad uno ad uno con il suo ombrello.

I giorni trascorsi a Jaffna hanno avuto un sapore diverso grazie all’ospitalità offerta dallo zio. Unico avvocato e notaio della zona, S. è stato il solo della famiglia a non avere mai lasciato il paese durante la guerra continuando, attraverso le sue mediazioni politiche, a sostenere la causa tamil. Per 25 anni ha abitato a Colombo insieme alla moglie e alla figlia per poi ritornare a Jaffna a seguito del cessate il fuoco. Fin da Palermo avevamo sentito parlare di lui: T. infatti ci aveva detto che uno zio avvocato lo sarebbe venuto a prendere in aeroporto, proprio per scongiurare qualsiasi problema di ordine politico e burocratico. Poi ci siamo ritrovati ospiti a casa sua, una bellissima villa dove abita con la moglie, lontana dal caotico centro di Jaffna.

Il nostro interlocutore palermitano ci aveva confidato che lo zio S. e la moglie avevano qualche perplessità all’inizio ad invitarci per paura che la loro ospitalità non fosse all’altezza delle nostre aspettative. Qui appena vedono un europeo pensano che sia chissà chi, un principe, ma io li ho rassicurati dicendo che a Palermo c’è gente alla buona che si adatta facilmente, ci dice T.

Le prime conversazioni tra noi ed S. erano però avvenute tramite la mediazione del nostro amico ristoratore, che la prima notte aveva deciso di restare a dormire con noi proprio per rassicurare gli zii. All’inizio pensavamo che S. e la moglie non parlassero molto bene inglese o comunque non avessero molta voglia di conversare, dal momento che venivano costantemente tradotti da T.

In realtà ci sbagliavamo di grosso. Nei giorni successivi, trascorrendo del tempo soli con lo zio in veranda (a colazione, nel pomeriggio o dopo cena) abbiamo scoperto infatti una persona molto interessante e anche molto interessata alle nostre opinioni in merito allo Sri Lanka e al conflitto; per di più parla anche un ottimo inglese.

S. conosce molto bene la storia e la filosofia occidentale ed è molto coinvolto nella vita politica e intellettuale del suo paese: è infatti un marxista leninista e scrive in diversi giornali e riviste. Un giorno decide di regalarci le copie di una di queste, dato che pubblicano in inglese. Ci rendiamo conto che non è solo un punto di riferimento per la vita culturale dello Sri Lanka, ma anche per le persone del villaggio in cui abita. Casa sua è infatti come un porto sicuro in cui fermarsi un momento o per più tempo a fine giornata. Il cancello è sempre aperto: chiunque può entrare e scambiare due chiacchiere sorseggiando una tazza di tè. 

A noi piace molto stare seduti nel giardino a conversare. Ad esempio, il giorno del matrimonio, ci ritroviamo la sera tutti stremati, seduti in cerchio, a prendere un po’ di fresco: lo zio e gli altri parenti, fra l’altro, si sono alzati alle tre del mattino per ultimare i preparativi in vista del rito che è cominciato alle cinque. Anche il padre dello sposo ci fa compagnia, dato che in questi giorni ha dormito a casa del fratello. Questo momento di calma lo induce a iniziare una conversazione con noi, che siamo stati la “preda” più ambita della sua telecamera, i suoi compaesani di Palermo! Ci racconta di essere stato il primo del suo villaggio ad essere emigrato a Palermo a metà degli anni ’80 e che, nonostante adesso abiti da più di 20 anni a Toronto, questa città gli è rimasta nel cuore perché è a partire da lì che ha dovuto ricostruire una nuova vita. A riprova di questo, parla infatti un buon italiano, mentre il suo inglese lascia alquanto desiderare, ci dicono i suoi parenti prendendolo bonariamente in giro. Quando è arrivato a Palermo faceva le pulizie presso uno studio d’avvocato, adesso in Canada invece fa l’autista. Ci tiene a dirci dove stava di preciso il suo datore di lavoro: ha un certo orgoglio palermitano da mostrare anche a noi e vuole farci vedere che si ricorda ancora tutto di questa città. Sai dove lavoravo io? Tra via libertà e via duca della verdura, dove abitava l’avvocato Balconi. Dai nostri volti intuisce che non abbiamo capito di chi sta parlando e la cosa lo stupisce enormemente: come non lo conosci? È famosissimo! Continuiamo a scuotere la testa, allora decide di darci più dettagli: l’avvocato Balconi, l’albero, la bomba nell’autostrada! Finalmente abbiamo capito: il magistrato Falcone! Esatto, ci dice lui, finalmente soddisfatto. Ha abitato a Palermo dall’inizio degli anni ’80 a metà degli anni ’90 anche lui ha impresso nella memoria come qualsiasi siciliano, i segni, i luoghi e i protagonisti della sanguinosissima lotta di mafia. Dopo questo siparietto involontariamente comico (in questi 10 giorni abbiamo capito che gli sri lankesi hanno difficoltà a pronunciare la “f”) arriva un ragazzo, studente di giurisprudenza a Colombo, definito da tutti il “discepolo” politico dello zio. E’ l’occasione per avere un quadro più completo della guerra civile. Lo zio infatti sostiene che le tigri tamil siano state manovrate dal governo indiano che le ha usate per destabilizzare lo Sri Lanka e fare i suoi interessi: La guerra è il frutto dell’imperialismo indiano. Se da una parte le tigri venivano addestrate nei campi del Tamil Nadu, dall’altra l’India sosteneva militarmente il governo cingalese.

Ma quella delle tigri è una rivoluzione fallita, continua lo zio, perché hanno imposto il loro volere con la violenza senza cercare l’appoggio del popolo e portando terrore tiene a sottolineare. Ma nulla di questo conflitto si può veramente capire se non si fa un passo indietro. Sono stati i colonizzatori, inglesi in primis, a realizzare una politica del divide et impera, distinguendo etnicamente, religiosamente e politicamente i tamil dai cingalesi dando un ruolo privilegiato ai primi. Non appena si è raggiunta l’indipendenza si è scatenato il risentimento della maggioranza cingalese sull’élite tamil. Lo sapete che secondo la Costituzione in Sri Lanka il presidente non può essere tamil?

Il ragazzo che gli siede accanto annuisce e ci chiede maggiori informazioni sui nostri studi. Così ci ritroviamo a discutere di critica postcoloniale. Lui ci dice che interpreta l’espressione postcoloniale in termini negativi e attuali guardando al nuovo imperialismo attuato dalle multinazionali nei paesi in via sviluppo. Quando invece ci troviamo a riflettere sul passato che influenza le dinamiche contemporanee, interviene nuovamente lo zio: anche l’Italia ha condotto un’atroce politica coloniale. L’avete mai visto il film “Il leone del deserto” sul colonialismo italiano in Libia? Il film effettivamente è rimasto per anni un tabù in Italia e solo recentemente proiettato in televisione (non quella di stato) dopo più di venti anni di censura. Questo a riprova del silenzio che vige sul passato coloniale italiano con le annesse responsabilità che ne conseguono.

Un ultimo sguardo alla casa prima di partire. Quelle con lo zio non sono le uniche chiacchierate che abbiamo avuto. Fino a qualche ora prima eravamo a conversare con la zia che finalmente si è aperta parlando con noi per quasi due ore.

Ci ha raccontato della sua vita a Colombo durante gli anni della guerra e del periodo di insegnamento trascorso in una scuola di Kandy che rimane per lei la sua città preferita. Ci ha confessato che le manca la vita a Colombo dove aveva molti amici. Da quando sono tornati a Jaffna hanno ritrovato una città svuotata dei suoi abitanti che ormai vivono tutti all’estero: solo nel periodo delle vacanze è possibile rivedere i vecchi amici. Ma mi piace questa casa, ammette e ci invita a seguirla nella sua camera da letto, attraversando la stanza della figlia che, insieme alla sua nipotina, sta colorando l’album che le abbiamo da poco regalato. Adoro il mio Budda, ci confida mostrandoci una statua di Siddartha posizionata in alto su un armadio. Siamo colpiti. Una signora tamil che apprezza il culto del buddhismo, nonostante proprio a causa delle pressioni del clero buddista il conflitto contro i tamil ha assunto i toni più cruenti. Buddha mi dà serenità. Questa statua è stata comprata a Kandy, la vostra prossima tappa. E’ l’unica cosa che abbia mai chiesto di comprare a mio marito.

La zia si è poi offerta di accompagnarci a casa di T., dato che noi volevamo andare a salutare la sua famiglia, anche se in realtà per le abitudini del posto è già abbastanza tardi. Non volendo disturbarla, abbiamo aspettato pazientemente la chiamata del nostro amico e finalmente riusciamo a raggiungere lui e la sua famiglia. Il papà e la mamma già dormono sul portico. I ragazzi sono dentro a guardare la tv. Il matrimonio li ha distrutti. Si alzano per noi e ci servono l’immancabile tazza di tè oltre a qualche frutto e dolciume. Consegniamo a tutti le foto scattate con dedica e ci salutiamo fra abbracci e promesse di rivederci. Grazie a voi, che avete confermato alla mia famiglia con il vostro calore il motivo del mio attaccamento a Palermo - ci risponde T.

Adesso è tempo di tornare al presente. E’ l’ora di andare. Arrivederci Jaffna. 


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L'ufficio

Ormai siamo di casa in questo posto, il piccolo CAF che ci ha già accolto due volte prima della nostra partenza. Ma oggi torniamo diversi, messaggeri di un viaggio che ci ha lasciato un segno indelebile e che sentiamo di dover condividere con chi lo ha reso possibile. Ci facciamo vedere sulla soglia della porta e il titolare ci saluta con un largo sorriso e ci fa segno di aspettare. Dopo qualche minuto ci raggiunge fuori per parlare. Tra baci e abbracci, iniziamo subito a scambiarci le nostre impressioni su quei luoghi che ormai conosciamo entrambi. Questa condivisione di dettagli che ora possiamo cogliere, questo legame più profondo fra parole e luoghi è ciò che più ci entusiasma. Quando impari di andare oltre la superficie delle informazioni, oltre una mera conoscenza "turistica" di un luogo ti ritrovi inevitabilmente a essere considerato, in piccole dosi, una parte di questa comunità transnazionale. Noi non stiamo nella pelle e nel raccontare siamo una raffica di parole. Abbiamo capito perché avevi tanta paura del traghetto, avevamo anche noi paura di cadere in acqua! gli diciamo ridendo e lui annuisce con ancora una punta di preoccupazione nello sguardo. Ma ciò che non abbiamo messo in conto è che anche T. ha viaggiato questa estate e non vede l'ora di raccontarci la sua esperienza. Quest'estate, infatti, è stato in giro per l'Europa a far visita a parenti vari. È stato un vero tour de force: in circa 20 giorni è stato in Francia, Germania, Belgio e Olanda, ma ne valeva la pena, ci dice soddisfatto. Ora ditemi com'è stato il vostro! Dopo avere fatto una rapida panoramica dei luoghi in cui siamo stati, ci mettiamo a parlare di Kayts, l’isola dov’è nato e da cui è scappato via all’età di nove anni. Gli diciamo che è stato il posto, tra quelli visti, in cui i segni della guerra sono ancora tangibili e molte case sono in stato di abbandono. Sì, la presenza militare è ancora molto forte lì- ammette- per questo anche dopo la fine della guerra non è tornato quasi nessuno. Ci sono molti più anziani che giovani. Persino noi quando passeggiavamo per le stradine semi-deserte abbiamo sentito l’incombente presenza dell’esercito. La marina militare controlla tutto il litorale e l’isolotto antistante in cui un’antica fortezza olandese è stata trasformata in un resort di lusso per turisti cingalesi o stranieri. Al tempo stesso, però, c'è anche un certo fermento edilizio e per le strade del centro abbiamo notato diversi edifici in costruzione. T. ci dice che questo è anche merito dei vari tamil sparsi in tutto il mondo che inviano le loro rimesse a un'associazione internazionale che si occupa di raccogliere fondi per promuovere lo sviluppo dell'isola. C'è però ancora tanto da fare. Quando è scoppiata la guerra siamo scappati via tutti – continua T.- io avevo un cugino che è rimasto: è stato ucciso nel ’90 perché aveva diffuso dei volantini contro il governo cingalese. Aveva 15 anni. Risparmiandovi la descrizione della barbara uccisione, questo episodio tragico dà lo spunto a una riflessione più ampia sulla guerra e sugli attori internazionali coinvolti. Anche lui, come lo zio di T. che ci ha ospitato a Jaffna, ci dice infatti che l’India ha giocato un ruolo ambiguo durante il conflitto trentennale: formalmente appoggiava la causa tamil, ma contemporaneamente inviava armi e uomini a supporto del governo. Nell’ultima fase della guerra sono morti circa 500 soldati indiani in difesa dei cingalesi. Durante questo viaggio abbiamo avuto la conferma, però, che le cose non sono mai così nette come sembrano dall’esterno e che la realtà è molto complessa. Per questo motivo diciamo al nostro interlocutore di essere stati molto colpiti dal rispetto e dalla considerazione che i due gruppi etnici nutrono l’un per l’altro. Anche la popolazione cingalese, del resto, ha subito una guerra che non voleva, ma che è stata alimentata e portata avanti dal governo centrale. I cingalesi, infatti, pur vivendo lontano dalle zone di guerra sono stati vittime del regime mediatico che ha portato avanti una narrazione a senso unico del conflitto che dipingeva i tamil come i nemici per eccellenza. A questo proposito T. ci dice che qualcuno ha tentato di ribellarsi e per questo motivo, ad esempio, il caporedattore di un giornale cingalese è stato ucciso per avere cercato di narrare il conflitto in maniera diversa, meno unilaterale. Il nostro interlocutore non risparmia neanche critiche alle Tigri tamil che a suo giudizio erano troppo sicure di riuscire a conseguire una vittoria e per questo hanno indugiato eccessivamente in alcune fasi della guerra. Ascoltiamo T. senza batter ciglio, impressionate dalla sua conoscenza approfondita di tutte le dinamiche politiche e belliche. Forse lui ci può svelare il mistero della mediazione norvegese nelle trattative di pace all’inizio del 2000 di cui avevamo parlato l’ultimo giorno a Colombo con M. e il suo ragazzo. Ai nostri occhi, infatti, è alquanto strano che un paese della Scandinavia, che non ha mai avuto possedimenti coloniali, abbia cercato di fare da intermediario in un paese asiatico. T. per fortuna non delude le nostre aspettative e ci risolve l’arcano: la Norvegia ha il controllo del porto peschereccio di Jaffna con cui ha un commercio di import-export, per questo cercava di affrettare per via diplomatica la fine del conflitto.

 

Adesso è il turno di T. di chiedere una cosa a noi: vorrebbe infatti prendere una laurea magistrale e ci chiede se conosciamo delle università telematiche a buon prezzo. La triennale l’ha conseguita all'università pubblica, ma adesso che ha una famiglia e un lavoro a tempo pieno non ha più il tempo di seguire le lezioni. La sua intenzione, infatti, è quella di prepararsi al meglio in vista di un possibile trasferimento a Londra. Ci confessa che gli affari non vanno molto bene e per questo potrebbe decidere di lasciare Palermo per cercare lavoro nel Regno Unito, dove ormai abitano molti suoi parenti e conoscenti. Purtroppo noi non possiamo essergli utili perché non conosciamo per nulla il mondo dell’istruzione on line. Ormai però in questi nostri incontri ci siamo un po’ affezionate a lui e ci dispiace l’idea che se ne possa andare, ma capiamo che per T. un posto vale l’altro in Europa, l’importante è riuscire a vivere bene e assicurare un futuro alla figlia. Del resto - ci dice - forse ormai ci sono più tamil dispersi che in patria. Ci salutiamo, ma speriamo che questo non sia un addio.


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Colombo: il ritorno

È ora di lasciare il piacevole fresco di Kandy e di ritornare a Colombo, dove di notte prenderemo un volo per tornare a casa. Per raggiungere l’ex capitale dello Sri Lanka scegliamo il treno, lo stesso che avevamo visto il giorno del nostro arrivo. Prendiamo i biglietti in terza classe e realizziamo subito che saranno tre ore e mezza molto lunghe. Il treno, infatti, è stracolmo e facciamo fatica ad entrare. Dentro troviamo di tutto: passeggeri, valigie, scatoloni, venditori ambulanti che salgono in corsa e riescono a districarsi nell'intrico di corpi e oggetti. Nonostante ciò, conquistiamo uno spazio in piedi fra il bagno e l’entrata che rimane aperta per tutto il viaggio lasciando intravedere paesaggi straordinari. Grandi montagne e foreste lussureggianti ci aiutano a sopportare la fatica per le ore che ci separano dalla nostra ultima destinazione.

Una volta arrivati nella città in cui il nostro viaggio è cominciato, facciamo un giro nel vivace quartiere di Pettah. Entriamo infatti in un mercato al chiuso che distribuisce un grande quantità di frutta e verdura all'ingrosso. Proseguiamo tra le viuzze della zona finché non ci imbattiamo in una moschea bianca e rossa che cattura la nostra attenzione per la sua bellezza e imponenza.

A dire il vero, abbiamo deciso di tornare a Colombo con il primo treno della mattina perché l’amica di Laura ci ha consigliato di vedere un'esposizione artistica nell'ex complesso alberghiero Rio. Non potete perderlo se siete delle geografe! ha esordito, richiamando la nostra attenzione. Quando arriviamo capiamo il perché: l’hotel Rio con il suo cinema annesso è un palazzo che mostra in ogni sua stanza i segni del tragico luglio nero del 1983, ovvero del pogrom anti tamil che scatenò la guerra civile.

Il nascente gruppo delle Tigri per la liberazione della patria tamil (Ltte) aveva ucciso tredici soldati singalesi in un’imboscata per vendicare a sua volta il massacro di civili nel nord del Paese. L’episodio scatenò la reazione di folle inferocite di singalesi che nei giorni successivi assaltarono le case e gli esercizi commerciali dei tamil della capitale, tra cui il suddetto hotel, che fu dato alle fiamme. La distruzione e la carneficina proseguirono fino al 30 luglio, estendendosi anche alle città tamil della costa orientale.

La mostra "Shadow Scenes" allestita all'interno dell'hotel abbandonato si riappropria di un tragico luogo della memoria collettiva, da tempo in disuso e dimenticato, e lo trasforma in un archivio del presente. Notiamo che vi sono artisti tamil, cingalesi, indiani, europei che con diversi stili e sperimentazioni forniscono uno spaccato della realtà di questo paese.

Ci colpisce in particolare lo svelamento della retorica da ‘città del futuro’ che pervade i programmi di Colombo. Ad esempio veniamo molto colpiti da una mostra fotografica dedicata agli abitanti del quartiere di Java Lane, situato nei pressi di Slave Island. Le fotografie mostravano la quotidianità degli abitanti del luogo prima che questo venisse raso al suolo per far spazio a nuovi progetti edilizi. Cosa ne è stato di queste persone adesso non ci è dato saperlo. Con questo appeal alla modernizzazione, infatti la città attira investitori stranieri, soprattutto cinesi, e molti dei suoi quartieri  tra cui Union Place e Slave Island, rischiano di subire la stessa sorte per dare vita a nuovi progetti di sviluppo edilizio: centri commerciali, grattacieli e gated communities.

Il simbolo di questo nuovo potere si condensa nella Lotus Tower, ancora in costruzione e finanziata dalla Cina.

Ci aggiriamo tra le sale dell’hotel-museo con molto interesse finché ci ritroviamo all’ultimo piano in cui ci vengono fornite delle cuffie da cui ascoltare racconti e osservare nel contempo il panorama della città.

Finalmente arriva il messaggio di M. e S.: sono arrivati alla stazione di Colombo e ci diamo come appuntamento il Dutch Hospital, che avevamo già visitato il primo giorno.

Quando arrivano, decidiamo di sfruttare i bagni dei lussuosi locali della zona per darci una pulita e ci mettiamo in cammino in direzione della spiaggia cittadina. Ci portano in un posto diverso rispetto a quello in cui siamo stati il primo giorno a Colombo. Non ci sono costruzioni, ma solo una spiaggia semi-deserta che si estende lungo il manto stradale. Ma ormai è buio e non ha molto senso contemplare il paesaggio. Mentre passeggiamo M. è curiosa di sapere e di ascoltare le storie dei tamil che abbiamo incontrato sia a Palermo che nel nord dello Sri Lanka e  ci chiede quali idee ci siamo fatti sulle responsabilità del conflitto appena concluso. Ci racconta di aver letto molti articoli scientifici sulla questione della riconciliazione tra tamil e singalesi e ci sintetizza le convulse fasi in cui i norvegesi hanno tentato di porsi da mediatori nel conflitto, promuovendo uno stato federale. I norvegesi? ci chiediamo, stupiti. Cosa li avrà portati mai a “impicciarsi” in una questione così delicata? M. non sa darci una risposta, ma è sicuramente qualcosa che domanderemo ai Tamil di Palermo quando torneremo a casa.

Decidiamo di andare a cenare a Sri Jayawardenapura Kotte (chiamata da tutti semplicemente Kotte), capitale amministrativa dello Sri Lanka dove abita il ragazzo singalese amico di M.. Saltiamo su un tuk tuk per riprendere gli zaini che abbiamo lasciato alla stazione dei treni perché poi verremo ospitati direttamente da S.. Arriviamo ma il guardiano dorme. Con molta delicatezza, per non disturbarlo, apriamo l’armadietto e riprendiamo i nostri averi, soffocando le risate.

 

A cena ci ritroviamo con dei ragazzi tedeschi che sono appena atterrati in città. Alloggeranno a casa di S. e ne approfittiamo per dare loro delle dritte per il viaggio. Dal water’s edge dove ci troviamo, un locale che strizza molto l’occhio alla moda e ai gusti occidentali, ci muoviamo tutti insieme verso casa: finalmente possiamo risposarci un po’ e fare una doccia prima di andare in aeroporto.

Tra una chiacchiera e l’altra in cui S. ci racconta dei suoi continui viaggi in Europa, soprattutto a Vienna, e del modo di vivere della gioventù di Colombo, la discussione finisce per ricadere sullo scontro tra tamil e singalesi.

M. infatti sostiene che la trattativa mediata dai norvegesi per la creazione di uno stato federale sarebbe fallita per il rifiuto del governo singalese. S. invece considera che sia stata colpa dell’intransigenza dei tamil che vorrebbero l’indipendenza e non uno stato federale. Bisogna trovare un modo per vivere insieme senza essere nazionalisti. - ammette - E poi se guardi in senso più ampio ti rendi conto che il potere decisionale di tamil e singalesi è minimo. Tutto è deciso da Stati Uniti, Cina e India. Il ragazzo allude al fatto che dietro le decisioni nazionali ci sono interessi economici e geopolitici più grandi.

Ormai è quasi mezzanotte e il nostro ospite chiama il suo autista di tuk tuk di fiducia. L’uomo, piccolo e magrolino, ci carica nella sua moto ape lanciandoci in una corsa folle e sfrenata dove più volte rischiamo di finire fuori strada. Ne è consapevole e si volta di continuo verso noi tre, poveri malcapitati, sogghignando beffardamente. Per fortuna arriviamo in aeroporto sani e salvi e Laura trova la forza di mandare un messaggio alla coppia di amici che abbiamo appena lasciato: meno male che era l’autista di fiducia!!!

 

Queste due settimane sono davvero volate: abbiamo incontrato dei nuovi amici e abbiamo raccolto le loro storie. Vista da vicino la realtà del conflitto ci è apparsa diversa dall’idea che ci eravamo fatta tramite i media: abbiamo scoperto due raggruppamenti etnici diversi per lingua, religione e abitudini culturali, ma accomunati da un reciproco rispetto e dal disprezzo comune per una guerra d’interesse gestita dal governo che ha provato a fomentare un odio etnico fra le due parti. Da quello che abbiamo visto, però, non ci è riuscito. Quindici giorni però sono pochi per tracciare un bilancio così generale e per cercare di districare l’intreccio di una verità che come sempre si presenta complessa e parziale. Abbiamo anche scoperto che il nord del paese e la nostra città di partenza hanno un legame molto più stretto di quello che avevamo pensato all’inizio. Dalla loro commistione è nato per noi che abbiamo vissuto questa esperienza e per i tamil che abbiamo incontrato, un terzo spazio, quello dell’emozione. Adesso ci attende l’ultima parte del nostro viaggio, il ritorno: non vediamo l’ora di rincontrare i nostri “complici” iniziali!


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Kandy

La pioggia è appena cessata quando saliamo, assonnati, sul bus per Kandy. Ci attendono ben 8 ore di viaggio. Stranamente non troviamo la solita musica a palla. Probabilmente, visto l’orario, l'autista ha deciso di concedere un po’ di riposo ai passeggeri. Fuori dal finestrino, il paesaggio ci scivola lentamente di fronte agli occhi, il cielo comincia ad aprirsi e i primi raggi di luce illuminano la pianura del Vanni che stiamo attraversando. Percorriamo tutta la A9, teatro di numerosi combattimenti durante la guerra e i cui segni sono ancora evidenti nelle consuete case abbandonate o crivellate che si intervallano a lagune e distese di palme da cocco. 

Dopo circa metà del viaggio usciamo dalla zona tamil e rientriamo nell’aerea cingalese. Il paesaggio cambia di conseguenza, i villaggi diventano più popolati e trafficati e iniziano a comparire le prime montagne. Di conseguenza il nostro bus si riempie e sale un venditore di smacchiatori che ci allieta per qualche minuto.

 Ci stiamo avvicinando alla hill country e alla sua capitale Kandy. Questa zona, un tempo coperta da foreste tropicali, ora è piena di piantagioni da tè, nate sotto l’impulso dagli inglesi e dove si produce il celeberrimo Ceylon tè. 

Arriviamo a Kandy ad ora di pranzo e, dopo aver lasciato gli zaini in guesthouse, passando per il mercato, usciamo per mangiare qualcosa e farci un giro per la città.

La città effettivamente è una delle più belle dello Sri lanka. Sviluppata attorno ad un lago artificiale e circondata da montagne ricoperte di vegetazione, Kandy con le sue case ottocentesche è un puro esempio di architettura coloniale oltre che essere il centro spirituale e di potere del clero buddista. Nello senso comune, si tende ad associare il buddismo ad una religione, o meglio filosofia, della non violenza, ma in Sri Lanka, in realtà, è stata proprio la lobby buddista e nazionalista a sostenere economicamente e politicamente la guerra contro i tamil. Nell’artificiale narrazione religiosa cingalese, lo Sri Lanka viene considerato l’isola di Budda e non c è spazio per le altre minoranze religiose.

Dopo aver fatto un giro intorno al lago iniziamo a prepararci per quello che si preannuncia essere il più grande festival buddista d’Asia, l’Esala Perahera.  Prima di partire alla volta di Kandy, la zia di T. ci aveva detto che tale processione in realtà nasceva per suggellare l’amicizia tra tamil e cingalesi.  Questa genuina fratellanza sembra essersi persa nell’ultimo sanguinoso secolo.

Ci troviamo uno spazietto in mezzo alla folla che è già accampata ai lati della strada, per qualche spicciolo compriamo un telo da mettere per terra dove sederci. Siamo in mezzo a tante famiglie e giovani provenienti da tutto il paese per assistere allo spettacolo. Numerosa è anche la presenza di turisti occidentali, cosa a cui non eravamo più abituati dopo i giorni passati a Jaffna, ma la maggior parte opta per comodi e costosi posti a sedere messi in vendita dai bar della zona.

Dopo due ore di attesa e il sole ormai tramontato, si iniziano a sentire i primi colpi di frusta che aprono l’interminabile processione. Danzatori e danzatrici, giocolieri con il fuoco, suonatori e elefanti bardati si diramano per le strade della città. E pensare che è solo il terzo giorno. 

A fine processione andiamo a mangiare qualcosa in una rosticceria musulmana e ci incontriamo con una ragazza tedesca, M., ex compagna di Erasmus di Laura, anche lei in vacanza in Sri Lanka. Grande appassionata dell’India in cui ha vissuto più di due anni, questa volta ha deciso di cambiare meta anche se non si è spostata di molto rispetto al suo subcontinente preferito. Sta viaggiando con un ragazzo di Colombo incontrato tramite couchsurfing. Ci raccontiamo le nostre reciproche esperienze di viaggio dal momento che anche loro sono stati a Jaffna. Il ragazzo, infatti, nonostante ci racconti di aver viaggiato tantissimo nel suo paese per scrivere una guida alternativa dello Sri Lanka, ammette che per lui la zona nord per anni è rimasta off-limits. La prima volta ci era andato tre anni prima non appena l’area era stata riaperta ai viaggiatori del sud ed era curioso di vedere con i propri occhi cosa ne era stata di quella guerra che non aveva mai vissuto, se non attraverso i media, pur essendo a pochi km di distanza. Continuiamo a chiacchierare fino chiusura del locale e poi ci salutiamo per rivederci la sera seguente. 

L’indomani mattina andiamo a visitare delle piantagioni da tè situate nei dintorni di Kandy. In realtà non abbiamo idea di dove si trovino e cosi chiediamo ad un tuk tuk di portarci al museo del tè da cui ci sposteremo alla ricerca di piantagioni. Non ci sbagliamo. Inerpicato sulle montagne che circondano la città, l’edificio è tutto circondato da bellissime piantagioni. Ci incamminiamo lungo una strada che si addentra nelle terrazze di tè nelle quali lavorano diversi raccoglitori tamil. 

Infatti, come ci aveva raccontato un tamil titolare di un ufficio di Palermo, durante la dominazione inglese, vennero importati circa un milione di tamil fuori casta dal sud dell’india per lavorare nelle piantagioni. A differenza dei tamil del nord appartenenti a caste più alte e più coinvolti nel bene e nel male nella vita politica del paese, i tamil delle piantagioni per anni sono stati e rimangono tuttora l’ultimo gradino della scala sociale del paese. Il non riconoscimento del diritto di voto è stata una delle dispute alla base del conflitto tra tamil del nord e cingalesi e solo recentemente il governo centrale ha riconosciuto la cittadinanza ai tamil delle piantagioni, nonostante vivano da più di duecento anni sull’isola.

Queste famiglie abitano in piccole case che si affacciano sulle piantagioni stesse e raccolgono il tè che poi finisce nelle tazze di tutto il mondo, ingrassando le casse delle multinazionali, come la Lipton per esempio, che li sfruttano.

Dopo esserci fatti un giro prendiamo un bus locale che ci riporta in città. Dopo pranzo saliamo su una collina per ammirare il panorama dal budda bianco.

In serata assistiamo di nuovo al festival che ci avevano detto essere diverso rispetto al giorno prima. Non notiamo grandi differenze mentre ammiriamo la processione e cerchiamo di riposarci.

Al termine della sfilata raggiungiamo di nuovo M. e il suo ragazzo che ci invitano nella loro suite, ottenuta con punti bonus di airbnb che il ragazzo utilizza per affittare alcune stanze a Colombo. Di fronte a noi abbiamo una splendida vista della città illuminata. Il ragazzo di M. ci dice che trova gli abitanti di Kandy un po’ strani e scorbutici. In effetti, è la prima volta in tutto il viaggio in cui non troviamo persone aperte e disponibili a parlare ad ogni ora del giorno: l’atmosfera caotica li porta ad approfittare del turista di passaggio per spillare qualche soldo. Passiamo la serata bevendo una delle poche birre del viaggio, dal momento che l’alcool non è ben visto da queste parti, e poi ci ridiamo appuntamento per il giorno dopo a Colombo.


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