Mullaitivu

18 agosto


 

Date il mio numero ai vostri amici che passano da qui. Dite loro che possono venire a vedere i pesci con Durei.

 

 

Mentre carichiamo i nostri zaini su un piccolo van che ci porterà a Jaffna passando per Mullaitivu, commentiamo la frase del pescatore di Manayawely Bay e ripensiamo alla giornata precedente trascorsa insieme. Ieri era il giorno delle elezioni parlamentari e per tenerci lontani dalle zone calde della città ci è stato suggerito di goderci il mare. Siamo dunque approdati a Pigeon Island, una riserva naturale molto apprezzata per fare snorkeling. Nonostante parte della barriera corallina sia stata gravemente danneggiata dallo tsunami del 2004, è ancora possibile avvistare diverse specie di pesci tropicali e innocui squali del reef (Giuseppe sostiene di averne visto otto di squali. Mancano le prove tuttora). 

Di ritorno abbiamo deciso di prendere un attò per raggiungere in tempo Manayawely bay, cercando di non mancare all’appuntamento preso con i pescatori il giorno prima. Ovviamente siamo arrivati nel momento “giusto”, proprio quando tutti stavano riposando! La spiaggia era più deserta del solito e noi camminavamo avanti e indietro, non sapendo se fosse il caso di andare a disturbarli. Un po’ affranti ci siamo diretti sulla via del ritorno. Ma ecco, a metà strada i nostri occhi incrociano quelli di una persona molto familiare. Scusate se non sono arrivato prima! E’ Durei, che ci spiega di essere andato a votare con le sorelle a Mutur, ma di aver avuto grandi difficoltà a tornare perché i collegamenti erano sospesi. Ci presenta la sua famiglia e va a recuperare pinne e maschere per tutti a casa dello zio.

Quando siamo pronti per immergerci si unisce a noi anche un altro ragazzo del villaggio, conosciuto il giorno prima. E’ tardo pomeriggio e la visibilità non è delle migliori. Ci allontaniamo lentamente dalla costa e il numero e la dimensione dei pesci aumentano. A essere sinceri, dopo gli squali incontrati al mattino, siamo un po’ suggestionati ma i pescatori sanno come tranquillizzarci. Alla vista della prima medusa, blu e grande come le nostre teste, pensiamo già di battere in ritirata, ma uno di loro scende a fondo e risale con la medusa tra le mani giocandoci come fosse un palloncino. Tornati a riva, dopo più di un’ora e mezza passata a mollo, ci asciughiamo.

Facciamo la strada di ritorno con Durei e ne approfittiamo per ascoltare alcuni suoi racconti sulla vita del villaggio durante il conflitto tra le tigri tamil e l’esercito cingalese. Sembra davvero felice di averci conosciuto e decide lasciarci il numero di telefono della sorella perché i nostri amici possano contattarlo qualora si trovassero in visita a Trincomalee. Chi ha poco dà sempre di più, sentenzia quando lo ringraziamo affettuosamente prima di andarcene.

“Il mio amico Durei” esclama Giuseppe ripensando a ieri. Ogni giorno fa infatti un resoconto di tutti i suoi nuovi ‘amici’. E mentre lo prendiamo in giro, si avvicina un suo potenziale concorrente. E’ il proprietario della guesthouse di cui siamo stati ospiti negli ultimi tre giorni, da noi soprannominato Teddy Bear. Ha una particolare predilezione nel collezionare le foto dei suoi ospiti: le pareti della casa non sono più sufficienti ad accoglierle e il resto dei suoi clienti è schiacciato tra le pagine degli album. E’ sorprendente per noi il fatto che riesca a descriverli uno per uno, elencandone il nome e la nazionalità. Non è un semplice albergatore e chi passa per la sua casa non è un semplice ospite. Nei giorni precedenti abbiamo visto ragazzi piangere per aver lasciato la sua guesthouse. Non ci resta che sperare che voglia fare una foto anche con noi. 

E non ci delude!

Non sappiamo se finiremo sulla sua parete o su qualche polveroso album (però abbiamo saputo di essere diventati la sua immagine di copertina su internet per la sponsorizzazione della sua guesthouse).

 

Ora siamo pronti a lasciare Trincomalee e a dirigerci verso Jaffna. La strada ufficiale che collega le due città passa per l’interno dell’isola. Seppur più complicata, noi decidiamo di percorrere quella costiera, attraversando la regione di Mullaitivu molto importante per la memoria collettiva Tamil. Li  si è conclusa, nel 2009, la sanguinosa guerra civile. L’autista stesso ci confessa che è la prima volta che si trova a percorrere questo tragitto. Una breve sosta ad un tempietto indù lungo la strada ci offre l’occasione per avere la conferma che sia Tamil. In realtà ci spiazza la sua risposta: è cingalese buddista, parla tamil e ha discendenze egiziane. Una commistione etnica e religiosa a cui ci ha abituato Trinco. 

L'autista ci spiega che le divinità che figurano in alto a destra sono sia indù che buddiste.
L'autista ci spiega che le divinità che figurano in alto a destra sono sia indù che buddiste.

Notiamo che la strada che conduce a Mullaitivu è nuova e in ottime condizioni, da poco ricostruita da compagnie giapponesi, come testimoniano i numerosi cartelli pubblicitari che la costeggiano. Gran parte delle abitazioni, invece, sono gestite dalla croce rossa e dalla caritas ma abbiamo difficoltà a capire se siano abbandonate o meno. In questa zona prima non si poteva entrare, ci confessa il ragazzo, se eri singalese le tigri sparavano, ora è tutto tranquillo… Più che tranquillità e riconciliazione, noi percepiamo il senso dell’ordine, un ordine imposto dalla massiccia presenza militare nella zona.

 Arriviamo in prossimità di Mullavaikal, la laguna in cui si svolse la battaglia finale tra l’esercito cingalese e l’ultima resistenza delle tigri tamil. Le nazioni unite stimano che almeno 40 000 civili tamil abbiano perso la vita in quel lembo, anche se il governo dello Sri Lanka non ha mai concesso indagini ufficiali. 

Nella zona ci sono più strutture militari che case, e la maggior parte di queste sono semi distrutte o crivellate dai proiettili. L’acme si raggiunge  con il museo della guerra, simbolo della vittoria del governo dello Sri Lanka sulle tigri tamil, celebrata da un imponente monumento all’ingresso. 

All’interno troviamo dei pannelli che descrivono le varie fasi della guerra e delle foto che ritraggono i momenti più cruenti o i campi degli sfollati costruiti dal governo. Non possiamo far altro che guardare le immagini, le didascalie infatti sono scritte unicamente in cingalese. Solo uscendo fuori, dove sono esposti come trofei di guerra le armi sottratte alle tigri tamil, troviamo le spiegazioni nelle tre lingue del paese: cingalese, tamil e inglese. Il museo della guerra è un dunque un museo della memoria unidirezionale, di un conflitto raccontato da una sola parte.

Tutta la regione è fuori dai circuiti turistici internazionali, ma recentemente ha conosciuto un incremento del turismo interno da parte degli abitanti cingalesi che giungono qui per vedere con i propri occhi quelle zone che sono rimaste off limits per più di trent’anni.

La nostra prossima tappa sarebbe dovuta essere Kilinochi, ex capitale amministrativa del governo parallelo delle tigri durante il cessate il fuoco concesso tra il 2004 e il 2008. Sfortunatamente una pioggia improvvisa disorienta l’autista, non pratico della zona, e ci ritroviamo all’ingresso di Jaffna. Siamo sull’A9, la strada che collega Jaffna al sud del paese. Durante il periodo di guerra, per percorrere i circa 400 km che separano Colombo da Jaffna, era possibile impiegare 20 ore dovendosi fermare lungo i vari checkpoint militari delle due forze in campo. Ora invece la si raggiunge in metà del tempo.

L’ingresso nella penisola di Jaffna viene annunciato dal famoso Elephant pass, duramente conteso durante la guerra. Qui si trova un altro monumento celebrativo della vittoria governativa, controllato dall’esercito.

 Ci fermiamo un attimo per scattare una foto, ma una volta rientrati in pulmino un militare in borghese chiede una mazzetta all’ autista sostenendo che non sia possibile alcuna ripresa. Un po’ infastiditi percorriamo gli ultimi km che ci separano da Jaffna dove comincerà la parte più intensa del nostro viaggio.


Scrivi commento

Commenti: 0