Trincomalee

16 Agosto

 

Seven Wells

 

La nostra giornata comincia con calma, come l’atmosfera da spiaggia richiede.

Una ricca colazione mista a mosche ci dà la carica e le proteine per metterci in cammino. Contrattiamo il prezzo di un tuk tuk (o attò, come lo chiamano da queste parti) per raggiungere i 7 pozzi (Seven Wells) indicatici nella mappaonline da P., una giovane ragazza tamil di Palermo, e in seguito da altri ‘complici’.

Durante il percorso, il paesaggio cambia sotto i nostri occhi. Allontanandoci dal centro aumenta infatti il dispiego di forze dell’ordine e con esse - notiamo scherzosamente - anche di mucche (chissà se c’è una correlazione tra le due!).

Una volta arrivati al sito, che ci eravamo figurati come un posto sacro e silenzioso, ci dobbiamo ricredere. Una folla di persone infatti sta giocando con l’acqua, tra grida e risate. Dal terreno fuoriescono sette pozzi quadrati, ognuno con un diverso gradiente di calore. Sappiamo che è molto importante nella cultura induista, ma sembra frequentato in egual modo da buddhisti cingalesi. Lo intuiamo da una stupa, tipico monumento buddhista a forma di campana, che troneggia sullo sfondo quasi a legittimarne visivamente l’accesso. Un’effige vicino agli spogliatoi spiega inoltre che il sito è stato riaperto dall’esercito nel 2014.

Ci fermiamo qualche minuto ad osservare, non sapendo bene se sia opportuno o meno partecipare a queste abluzioni. Giuseppe si lancia per primo e dopo un’attenta perlustrazione viene “secchiato” da un ragazzo accanto a lui.

Poi è il turno di Laura. Scende e lo stesso ragazzo prende il secchio, lo intinge nel pozzo e la bagna. Nel mentre parliamo e scopriamo che è un tamil canadese in visita in Sri Lanka. Conoscete la leggenda di questo posto?, ci chiede. Siamo curiosi. Ci racconta di sette fanciulle desiderose di fare il bagno e di un potente guerriero, Ravana, che, pur di accontentarle, decide di sferrare un pugno sul terreno, facendo sgorgare acqua per ognuna di loro. Non è pienamente convinto della sua versione e chiede conferma alla sua compagna.Queste leggende cambiano sempre a seconda di chi le racconta, tenta di giustificarsi ridendo. Ma il nostro pensiero va verso quel tempio buddhista che abbiamo visto arrivando e gli chiediamo se sia normale la sua ubicazione in un sito induista. Il ragazzo corruccia la fronte: Non c’è nessun problema interreligioso. Indu e buddhisti stanno qui insieme. E si viene per divertirsi.

Ci sono più di trenta gradi all’aperto e l’acqua è a sua volta bollente. Decidiamo di prendere una pausa per non svenire. Finalmente si decide ad entrare anche  Francesca, spronata da una signora a partecipare. Dopo qualche minuto ci ritroviamo tutti e tre lì dentro. Veniamo ora guidati da due signore pozzo per pozzo - due secchiate per volta - fino all’ultimo, in cui per ben 7 volte dobbiamo sottostare alle abluzioni. Il rituale è finito. Noi siamo sfiniti, ma contenti.

 

Un momento storico. Francesca e Laura si scambiano le loro 'promesse' di eterno tormento.
Un momento storico. Francesca e Laura si scambiano le loro 'promesse' di eterno tormento.

Torniamo in città con un attò, decisi a fare un bagno in spiaggia per scampare al micidiale sole di mezzogiorno. Per la strada però veniamo attratti da un colorato tempio induista, davanti al quale una signora sta cucinando del riso che poi verrà offerto a tutti. Entriamo e ci troviamo nel bel mezzo di una cerimonia, con versi in sanscrito recitati dal guru, frutta offerta in dono alla divinità e il suono avvolgente del mrindagam e dello shanai (rispettivamente uno strumento a percussione e uno a fiato molto usati nei riti religiosi). Un signore ci spiega che si festeggia un festival religioso in cui, a differenza degli altri giorni dell’anno, le protagoniste sono le donne. 

Restiamo un po’ in piedi a guardare questo colorato rituale, ma poi dal momento che siamo gli unici turisti e ci sentiamo un po’ degli intrusi, decidiamo di andare.  Dopo questa piccola sosta possiamo andare a fare un tuffo a Dutch bay, che si trova a pochi passi dal centro.


Manayaweli

 

Finiamo di pranzare con un ottimo kottu proprio vicino alla spiaggia e decidiamo di proseguire con l’itinerario suggeritoci a Palermo. Dando uno sguardo alla mappa interattiva, vediamo che tra i luoghi citati ci sono anche i villaggi di Sampur e Muthur (per rinfrescarvi la memoria date un'occhiata qui) che ci era stato detto essere raggiungibili con un traghetto dal porto di Trincomalee, anche questo nella lista. Così decidiamo di dirigerci verso quest’ultimo per poi vedere di imbarcarci per raggiungere queste località situate dall’altro lato della baia.

Il porto di Trincomalee, uno dei porti naturali più grandi del mondo, si affaccia su una bellissima baia circondata da dolci e verdi colline. Giungiamo al lungomare e lo troviamo stranamente desolato. Il cielo è pesante, brulicante di nuvole. Solo alcune vacche si aggirano pigramente sotto la canicola tropicale. Sarà l’orario (sono le 3 del pomeriggio) o forse le imminenti elezioni inducono ad una pausa. In ogni caso sembra che effettivamente la zona non sia molto abitata. Molte case sono abbandonate e distrutte, ancora non ricostruite, e cartelli di allerta tsunami (che ha colpito duramente tutta la costa est dello Sri Lanka nel dicembre 2004) si affacciano un po’ ovunque. 

Facciamo un giro per cercare di scoprire se ci sono battelli per raggiungere i villaggi ma sembra che al momento non ci siano servizi disponibili. Pensiamo allora alla possibilità di prendere un bus ma sappiamo che in questo caso ci vorrebbe un’ora piena per arrivare. Alle sei però il sole sarà già tramontato, quindi decidiamo di rimandare la visita all’indomani. Riflettiamo un po’ per capire come impiegare il pomeriggio.

Nella nostra lista figura il tempio Koneswaram, situato in posizione panoramica, in cima a un promontorio che domina Trincomalee. La sua visita ci era stata consigliata in orario tramonto per il quale mancano ancora tre ore. Avendo ancora un po’ di tempo a disposizione, decidiamo di andare a visitare la vicina Manyaweli bay, non inserita nella lista, e di cui sapevamo soltanto essere una spiaggia frequentata da pescatori. Una deviazione, quindi, come molte altre che abbiamo messo in conto nel nostro viaggio.

Le premesse sono interessanti e ci avviamo a piedi. A naso, dovrebbero essere solo un paio di km. Nel tragitto passiamo di fronte ad un’immensa e pomposa postazione della Marina. Da quando siamo entrati nella zona est dello Sri Lanka, pienamente coinvolta nei 30 anni di conflitto, abbiamo notato un significativo aumento della presenza militare, cosa che purtroppo sappiamo si intensificherà nella nostra rotta verso nord. Dopo aver aggirato un branco di cani emaciati, proseguiamo nella strada che conduce alla baia. Il villaggio che attraversiamo sembra custodire precedenti accenni di turismo. Si affacciano sbiaditi cartelli di guesthouse che offrono stanze. Ma la percezione è di essere in un posto un po’ dismesso e con tanti animali, tra cui i cerbiatti (importati dagli olandesi), che scappano rincorsi dai bambini.

Ci sentiamo osservati, probabilmente perché non sono abituati ai turisti occidentali.

Arriviamo e una bellissima e tranquilla spiaggia si apre ai nostri occhi.

Anche qui il tempo sta cambiando e nuvoloni neri si avvicinano velocemente oscurando il sole pomeridiano. Quei pochi turisti presenti battono in ritirata, rimaniamo solo noi e un gruppo di pescatori che, in lontananza, sistemano le reti. Cercando di non farci intimorire dall’acquazzone imminente, decidiamo di esplorare la baia. Inizialmente ci dirigiamo verso un lato completamente deserto ma veniamo bloccati da un uomo in cima ad una torretta. Presto scopriremo che qui la marina controlla metà della spiaggia, limitandone l’accesso.

Ci dirigiamo quindi dall’altro lato dove ci sono le case dei pescatori. Costeggiamo il lungomare. Abbiamo un po’ la sensazione di invadere uno spazio non nostro e quindi procediamo timidamente.

Passiamo di fronte ai pescatori che in coro intonano un “Hello!”. Rispondiamo, sorridenti. Forse è il momento giusto per attaccare bottone. Fortunatamente l’onere di rompere il ghiaccio non tocca a noi. Uno di loro ci fa segno di avvicinarci per parlare. Partono le domande di routine: nome, età, da dove venite, quanti giorni in Sri Lanka etc… Un ragazzo sulla trentina, soprannominato Durei, mastica un buon inglese e fa tramite con gli altri che ridono ad ogni traduzione. Nel frattempo altre persone si avvicinano. La mano di Laura è strattonata da un bambino, poi ne arrivano altri due. Ormai circondata, non può che mostrare loro la sua macchina fotografica, che indicano compulsivamente ma con timidezza. Dapprima si mettono in posa, in seguito cercano di capire come funzioni la fotocamera.

Decidono di fotografare Laura, Giuseppe. Infine, ciascuno di loro. Un bambino torna a casa a prendere la figurina di un pesce. “pish” “pish” ripete di continuo. L’incastona sulla sabbia e fa una foto. 

Poi indicano le loro case e prendono Laura per mano. Mentre Laura esce di scena, la conversazione con i pescatori entra nel vivo ed i discorsi si fanno più interessanti. Ci raccontano che sono stati in mattinata a pescare e ora sono in pausa per due giorni, causa elezioni. Chiediamo loro se pensano possano esserci problemi per l’indomani in cui comincerà lo spoglio. Evitate magari il centro città ma vicino al mare no problem! Si indicano a vicenda: Io sono hindu, lui è musulmano, lui buddhista, ci sono pure i burgher. Qui siamo tutti amici, una grande famiglia. No problem!

Durante la guerra – continua Durei - non ci sono stati scontri in questo villaggio. Tutto attorno nella zona e in città sì, ma noi qui siamo uniti.Siamo colpiti da questa fratellanza e approfittiamo della loro presenza per capire perché metà della spiaggia non sia accessibile. Ci confermano che è una delle postazioni della Navy che controlla quasi tutti gli accessi al mare della costa nord-est. Questa presenza militare massiccia è dovuta alla sorprendentemente grande flotta militare di cui disponevano le tigri durante la guerra. Con la fine del conflitto la zona est si sta trasformando e il governo sembra intenzionato a lanciarla turisticamente, imitando i fasti della zona sud. Eppure, se da un lato la macchina turistica porterebbe introiti ad una regione non ricca, dall’altro un processo di trasformazione che coinvolga solo l’élite rischia di rompere delicati equilibri. Curiosi, quindi, chiediamo quale sia l’afflusso di turisti nella baia. Per ora non molti - ci dicono - pochi turisti va bene, ma molti è un problema. Apprendiamo che sono circa cento persone a vivere nella baia: 50 sono pescatori gli altri fanno altri lavori. Facciamo una vita semplice: lavoro, famiglia e amici. Ma va bene e siamo felici. Se ci sono pochi turisti è bello, possiamo parlare e conoscere cose di altri paesi.  Durei indica una gusthouse internazionale gestita da una famiglia locale, poi ci confida: Se iniziano a costruire troppi hotel è un problema per le famiglie che vivono qui. Ci rendiamo facilmente conto dell’equilibrio precario su cui versa il villaggio e di come uno “sviluppo” forzato potrebbe portare a trasferimenti di intere famiglie in città con un irreversibile cambiamento dello stile di vita.

foto scattata da Apachi.
foto scattata da Apachi.

Laura intanto è ritornata. I bambini volevano che entrasse nelle loro case, ma ha deciso di dire loro di no, per non essere invadente. La bambina ha dunque preso la macchina fotografica ed è entrata. Ma poco dopo, si sentono le urla della madre. La ragazzina esce con un sorriso beffardo e prontamente ripone la fotocamera nelle sue mani. Non capiamo se sia dovuto al fatto che abbia colto di sorpresa la mamma o perché abbia preso un oggetto che non le appartiene.

La bambina fotografa la madre di sorpresa.
La bambina fotografa la madre di sorpresa.

Nel mentre tutti i ragazzini del villaggio si sono riversati in spiaggia per organizzare una partita di calcio. Giuseppe, nonostante la forma atletica precaria, non resiste al richiamo del pallone e si unisce a loro. Un altro pescatore sulla quarantina si mette invece a chiacchierare con Laura e Francesca. In particolare, spiega come il villaggio sia miracolosamente scampato alla furia dello tsunami. Quel giorno, infatti, i pescatori erano appena rientrati dalla battuta di pesca e vedendo l’onda in lontananza avvisarono tutte le famiglie che, correndo, riuscirono a mettersi in salvo: nessuna vittima, fortunatamente!

Le nuvole minacciose si allontanano e qualche raggio di sole torna ad illuminare la baia. Giuseppe è esausto e termina la sua prestazione dopo venti minuti di partita.


Salutiamo i nostri amici perché il tramonto si avvicina e dobbiamo andare al tempio. Durei ci invita a ritornare il giorno dopo per andare a fare snorkeling insieme. Dopo le due, prima devo votare!, ci avverte. Euforici, accettiamo l’invito e ci avviamo di corsa verso il tempio.


Koneswaram temple

 

 

La leggenda narra che il re Ravana nel 2000 a.C volesse rimuovere il tempio di Koneswaram, ma il dio Shiva, volendoglielo impedire, gli fece cadere la spada, spaccando in due la roccia. Oggi questa frattura è chiamata "Ravana Vettu", ovvero "il taglio di Ravana".

Il tempio infatti sorge sulla roccia che sovrasta Trincomalee. I tamil ce l'hanno presentato come il corrispettivo di Monte Pellegrino. E, in effetti, mentre procediamo nella salita cominciamo a confrontare il tragitto con l'acchianata tutta palermitana al Santuario di S. Rosalia. La Santuzza, come si chiama da noi, è infatti venerata ugualmente sia dai tamil cristiani che da quelli induisti, i quali vedono in lei la reincarnazione della dea Kali. Palermo, in un modo o nell'altro, riemerge come un ronzio piacevole in questo gioco continuo di rimandi spaziali a cui i nostri interlocutori tamil ci hanno abituato.


Leggiamo in un cartello che le statue del tempio furono sotterrate dagli abitanti per preservarle dalla distruzione della conquista degli olandesi nel '600. Furono riportate alla luce solo nel 1952. Il luogo è molto suggestivo perché è praticamente circondato dal mare: dal lato della roccia si possono vedere le colorate statue delle divinità hindu che si stagliano sull’oceano, mentre dal promontorio si può vedere la doppia baia di Trincomalee.

 

Camminiamo a piedi nudi, come le regole del tempio richiedono, e ci soffermiamo a guardare tutto ciò che ci circonda. Ne sappiamo davvero poco, così come poche informazioni ci erano state fornite dai nostri amici tamil di Palermo. Eppure continuiamo a ripeterci che non ci sentiamo spaesati, tutto ci è così familiare.



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