La casa dei vicini

Palermo, 31 luglio


Quindi vai in Sri Lanka, nel mio paese?

Sono tornata da appena un giorno dal periodo di 6 mesi trascorso all’estero, ma già nel mio quartiere si è sparsa la voce del mio imminente viaggio. A farmi questa domanda è la moglie di uno dei miei vicini di casa, da cui avevo pensato di andare nei prossimi giorni. Il tono della sua domanda è un misto di curiosità e invidia. Ci fermiamo per la strada e iniziamo a parlare. E così scopro che è scappata dal suo paese all’età di 14 anni e da allora non vi ha più fatto ritorno: sono passati 22 anni. Il resto della sua famiglia ormai vive in Svizzera: mia madre sta lì da tanto tempo, vorrebbe tornare in Sri Lanka, ma da sola non può, è anziana.

Mi racconta di avere abitato in vari paesi d’Europa prima di trasferirsi a Palermo circa 15 anni fa, dove ha messo su famiglia. Nei suoi discorsi mescola di continuo i ricordi di un’infanzia serena alla realtà della guerra, la cui esperienza diretta è stata comunque breve. La prima cosa che mi dice è infatti: che buono il mango a Jaffna, a casa mia avevo un albero grande, là tutti hanno una casa con il giardino, qui non è possibile. Un secondo dopo invece, mi parla della repressione del governo cingalese nei confronti dei tamil: hanno tolto la nostra lingua dall’insegnamento a scuola, erano tutti obbligati a seguire i corsi in cingalese, lingua che non conosceva nessuno. Per questo motivo mi consiglia di andare nella regione del Vanni, roccaforte storica delle tigri tamil, che comprende la penisola di Jaffna e i distretti di Mannar, Mullaitivu e Vavuniya. Guarda l’orologio: è tardi, deve andare a comprare qualcosa prima che chiudano i negozi (e anche io, in realtà). Ci diamo appuntamento per i prossimi giorni, quando suo marito sarà a casa e potrà venire con me uno dei miei due compagni di viaggio.

 

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Pochi giorni dopo incontriamo anche il marito nell’unico momento della giornata in cui è libero - l’ora di cena - dal momento che in questo periodo lavora sia di giorno che di sera. Spieghiamo brevemente il progetto e lui, come altri incontrati in questi giorni, si schernisce dicendo di non sapere molto perché è andato via quando aveva 15 anni. Poi sono tornato altre due volte nel mio paese, ma come farete voi, solo per due settimane. Sono andato via nell’89 e vivo qui a Palermo da 26 anni. Se volete fare i turisti, andate a sud, altrimenti vistate il nord, dove c’è stata la guerra. Poiché la nostra idea di viaggio si basa sulla collaborazione della comunità tamil, la prima opzione è automaticamente esclusa. Gli diciamo subito che la nostra intenzione sarà quella di passare molto tempo a Jaffna e dintorni. Io sono nato a Kayts – ci dice subito – ma abitavo a Pungudutivu, che è una delle tre isole proprio di fronte a Kayts, ci puoi andare attraverso un ponte (che la collega alla terraferma). Cogliamo subito la palla al balzo per fare la nostra domanda di rito: “c’è un luogo particolare a Pungudutivu in cui ci potresti dire di andare?”. L’unica cosa da vedere sono tutte le chiese hindu. – risponde - Io sono cattolico e di cristiana ce n’è solo una. Non contente, lo incalziamo: “non c’è un posto legato alla tua infanzia, in cui ti piacerebbe tornare?”. La scuola!- ci dice ridendo. La prima volta che sono tornato – continua - sono andato subito lì. Questo episodio ci colpisce molto e quindi ci facciamo dire con esattezza il nome della scuola e la sua ubicazione, in modo da poterci andare quando saremo lì. La scuola si chiama Magavitijalaim e proprio accanto c’è la chiesa dove ho fatto la prima comunione. Quello era il centro della città, come qui lo è il Politeama. Però mentre qua ci sono gli indirizzi, là, non ci sono i nomi delle strade, ma solo i numeri dei vaddaram (isolati). Dove c’è la chiesa e la scuola è il primo vaddaram, perché è il centro, io invece abitavo al dodicesimo, ma ormai non c’è più nessuno. Solo mia sorella è rimasta lì, ma non so come la potreste trovare. Fino a questo momento la conversazione si è svolta davanti al portone del palazzo, tra macchine che passano e altri condomini che entrano o escono, guardandoci incuriositi. A questo punto S. ci invita a salire a casa sua, così possiamo parlare anche con sua moglie. Aperta la porta troviamo i suoi tre figli ad accoglierci con un grande e al tempo stesso timido sorriso. La moglie al momento è al telefono con la madre: sua madre sta in Svizzera, ad Arau, invece due miei fratelli vivono a Zurigo – ci spiega S. - noi quasi ogni anno a settembre andiamo a trovarli. Ci mettiamo un po’ a parlare dell’itinerario che abbiamo già tracciato grazie agli incontri precedenti: i luoghi che nominiamo, a eccezione di Jaffna e dintorni, sono sconosciuti a noi come a S. dal momento che lui dello Sri Lanka ha visto solo l’isola in cui ha vissuto e i posti limitrofi. Del resto ne ha solo sentito parlare. Ci racconta che proprio in una delle numerose isole su cui sorge la tentacolare Kayts, il mare è di acqua dolce. Un miracolo!, esclama stupefatto. La moglie scuote la testa sconsolata e noi ridiamo. Ma non ci arrivate a vederlo, due settimane sono poche.

Al di là dell’itinerario, S. vuole avere più informazioni sui nostri interlocutori precedenti e abbiamo la conferma che la rete di conoscenze è più stretta di quanto pensassimo: li conosce anche lui! Uno di loro, in particolare, è un suo parente ed è nato nella città di Pungudutivu e ciò gli fornisce l’occasione per tentare di rispiegarci nuovamente dove abita. Questa volta però ci chiede se abbiamo una mappa. Sfortunatamente, quella che c’è stata data nel negozio in cui siamo passate precedentemente ha una scala troppo grande. Laura prova con il tablet, ma la connessione singhiozza. S. ricomincia quindi a spiegare a voce, ora che siamo comodamente sedute sul divano: Dopo aver attraversato il ponte la strada si divide. Lì comincia il vaddaram numero 12 dove abito io. Mentre cerchiamo, imperterriti, di zoomare sulla mappa, si avvicina la moglie - è casa mia quella - ci indica poggiando il suo dito su Alavetty – è vicino il villaggio di T. (il proprietario del ristorante che abbiamo conosciuto nei giorni precedenti). Non ci resta che chiedere maggiori informazioni. Gli occhi, infatti, le brillano quando pronuncia questa frase. Lei si rivolge in tamil direttamente al marito, il quale infine ci traduce: mi ha detto che non lo potete trovare. Ma non siamo per nulla scoraggiate e prontamente ribattiamo: “noi troviamo tutto! Non solo, poi scattiamo delle foto e ti facciamo vedere com’è!”.

La ragazza sorride e lascia la stanza. Intanto S. riprende con la descrizione di ciò che vorrebbe che a questo punto vedessimo, la sua scuola elementare e media. Fate le fotografie! E chiedete in giro: S. lo conoscete? aggiunge ridendo. Ci avvisa però che quando lui è andato nel 2001 per accompagnare la madre che voleva fare ritorno al suo paese, la chiesa e la scuola erano chiuse. Ha cercato anche la sua casa ma era quasi impossibile entrare, ormai mangiata da erbacce e detriti. Noi siamo scappati tutti perché c’era la guerra. Lo sai quanto è durata? 35 anni. Già negli anni 90 a Pungudutivu non c’era più nessuno. Solo ora cominciano a ritornare.

Le bambine, intanto, sedute, ascoltano le nostre conversazioni e vengono interpellate dal papà: ci volete andare pure voi? Annuiscono, con la timidezza e la pacatezza che sembra contraddistinguerle.

Poi si rivolge nuovamente a noi e chiede se ci sarà qualcuno a guidarci una volta arrivati. Gli spieghiamo che a Jaffna saremo in compagnia di S. “il flautista” ma non sapendo il cognome è difficile per il nostro interlocutore identificarlo. Potrebbe essere utile soprattutto durante le elezioni, ci confida. Là non è come qua, ed è un problema perché il giorno delle elezioni chiude tutto. Quindi accende la tv e ci mostra il telegiornale del suo paese, traducendoci le ultime novità riguardo alle elezioni. Ma è solo un piccolo assaggio di quello che ci aspetterà dopo. Infatti prosegue con una carrellata di tutti i canali tamil della sua tv satellitare. Passiamo da film a serie tv, da pubblicità a concorsi musicali. Divertite, guardiamo e ascoltiamo, finché S. non ha altre idee su cosa dovremmo visitare. Ci consiglia, infatti, il Nallur Temple a Jaffna, in cui ci sarà una grande festa nei giorni della nostra permanenza e una madonna dei miracoli, la Saty, a Velenai (altro nome di Kayts). Di quest’ultima non riesce a fornirci molte indicazioni. Di Kayts ricorda invece il forte, una caserma dentro il mare. Ci avverte però che vi sono i militari e rinnova un invito alla prudenza e a muoversi con persone di fiducia: in qualunque posto andiate, accertatevi che possiate davvero andarci, meglio accompagnati.

Una delle due gemelline interrompe brevemente la conversazione, portandoci un bigliettino: mia madre dice che questo è il nome della sua scuola. Nella sua casa invece non è possibile andare…non c’è più, ci dice e si allontana. Conserviamo gelosamente l’indicazione, sperando almeno di riuscire a portare una foto della scuola. Chiediamo inoltre a S. se allora sia possibile incontrare sua sorella, l’unica della famiglia rimasta nel villaggio. Ci confida che non parla con lei da tanti anni perché le sue figlie sono in Germania e sono loro a fare contatto. Avremmo inoltre bisogno di un interprete perché parla solo tamil. Rimaniamo allora che ci farà sapere se riuscirà ad avere il suo indirizzo tramite il tam tam dei parenti. Ma sembra impaziente e comincia a fare le prime telefonate seppur con esito negativo. Un mio parente mi ha detto che abita nel dodicesimo vaddaram, ma non è così – ci dice - se riesco ad avere il suo numero ve lo faccio sapere.

Ecco, purtoppo questo è quello che mi ricordo, ci dice con modestia. Era proprio quello che volevamo! - rispondiamo felici. Continua a darci indicazioni sul suo paese, tracciando l’itinerario più semplice: passato il ponte, dopo 10 minuti, arriverete davanti a una chiesa, continuate poi sempre dritto finché la strada non si divide in due per poi riunirsi come in un cerchio, una strada svolta a destra, l’altra continua dritto. Se la percorrete tutta, passate attraverso tutto il paese fino ad arrivare alla chiesa di Amman Kovil, dopo c’è solo il mare. Annuiamo, ma con poca convinzione: in realtà siamo un po’ confuse. Evidentemente S. lo intuisce: si fa dare un foglio da sua figlia e inizia a disegnare sotto ai nostri occhi la mappa di Pungudutivu.

 

La mappa disegnata da S. per trovare la sua scuola
La mappa disegnata da S. per trovare la sua scuola

 Adesso, con il disegno davanti a noi, ricomincia a spiegare il percorso: in questa strada qua abita mia sorella, qua invece c’è la chiesa di Santa Saveria, di fronte c’è la scuola media (dove andava anche lui) e dietro c’è la scuola elementare, la Roman Catholic School; se invece continui dritto per la strada arrivi all’isola di Nainativu. Continua ad essere dispiaciuto di non sapere dove abiti esattamente sua sorella, dal momento che non esiste un indirizzo: non capisco neanche come fanno a portare la posta, però ti portano sempre tutto! In ogni caso nei prossimi giorni continuerà a chiedere ad altri parenti e se troverà qualcosa di più concreto, basterà salire due rampe di scale per venirlo a dire a Francesca. Senza rendercene conto parliamo da quasi due ore: è il momento di salutarci, anche per dare loro un po’ di respiro e la possibilità di cenare. Prima di andare via chiediamo se per caso vogliono portato qualcosa dallo Sri Lanka, dal momento che non ci vanno da così tanto tempo. Non sanno cosa rispondere: qui ormai possono trovare tutto quello che c’è anche là e del resto la nostalgia del luogo non si annulla con una spezia o un frutto. Alla fine, messi alle strette ci chiedono di portare un ricordo da mettere in casa, un piccolo soprammobile. Va benissimo a noi fa piacere- diciamo quasi in coro- abbiamo spazio a sufficienza nello zaino, certo basta che non sia un elefante – continua Francesca scherzando. In realtà, involontariamente, ha fatto una gaffe, che però i vicini non le fanno affatto pesare. Proprio l’elefante no - dice S. anche lui con fare scherzoso quello è un simbolo cingalese, semmai una tigre che è il nostro di simbolo. Mentre dice questo, sua moglie ci fa notare una foto, in alto su un mobile: è il ritratto di Velupillai Prabhakaran, leader delle tigri tamil, morto nella battaglia finale nei pressi di Mullavaikal. Questo posto si trova nella zona del Vanni- ci dice lei- io per 7 anni ho abitato da quelle parti, vicino a Vavuniya. Prima di andare via, S. ci chiede se è tutto chiaro riguardo alla mappa che ci ha fatto e la strada per raggiungere Pungudutivu da Jaffna. Molto probabilmente quel giorno saremo insieme a un nostro contatto tamil che ci ha detto che andremo in giro con i suoi due motori: state attenti a guidare, lì c’è la guida a sinistra, l’hanno portata gli inglesi, così come la religione cattolica, prima erano tutti hindu. Adesso è arrivato davvero il momento di andare e le parole non sono sufficienti a ringraziarli per la loro disponibilità e per avere condiviso con noi ricordi anche intimi e dolorosi. Fate tante foto – ci dicono sulla porta di casa- quando tornate le vogliamo vedere tutte. Promesso, non mancheremo.


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