L'ufficio

Ormai siamo di casa in questo posto, il piccolo CAF che ci ha già accolto due volte prima della nostra partenza. Ma oggi torniamo diversi, messaggeri di un viaggio che ci ha lasciato un segno indelebile e che sentiamo di dover condividere con chi lo ha reso possibile. Ci facciamo vedere sulla soglia della porta e il titolare ci saluta con un largo sorriso e ci fa segno di aspettare. Dopo qualche minuto ci raggiunge fuori per parlare. Tra baci e abbracci, iniziamo subito a scambiarci le nostre impressioni su quei luoghi che ormai conosciamo entrambi. Questa condivisione di dettagli che ora possiamo cogliere, questo legame più profondo fra parole e luoghi è ciò che più ci entusiasma. Quando impari di andare oltre la superficie delle informazioni, oltre una mera conoscenza "turistica" di un luogo ti ritrovi inevitabilmente a essere considerato, in piccole dosi, una parte di questa comunità transnazionale. Noi non stiamo nella pelle e nel raccontare siamo una raffica di parole. Abbiamo capito perché avevi tanta paura del traghetto, avevamo anche noi paura di cadere in acqua! gli diciamo ridendo e lui annuisce con ancora una punta di preoccupazione nello sguardo. Ma ciò che non abbiamo messo in conto è che anche T. ha viaggiato questa estate e non vede l'ora di raccontarci la sua esperienza. Quest'estate, infatti, è stato in giro per l'Europa a far visita a parenti vari. È stato un vero tour de force: in circa 20 giorni è stato in Francia, Germania, Belgio e Olanda, ma ne valeva la pena, ci dice soddisfatto. Ora ditemi com'è stato il vostro! Dopo avere fatto una rapida panoramica dei luoghi in cui siamo stati, ci mettiamo a parlare di Kayts, l’isola dov’è nato e da cui è scappato via all’età di nove anni. Gli diciamo che è stato il posto, tra quelli visti, in cui i segni della guerra sono ancora tangibili e molte case sono in stato di abbandono. Sì, la presenza militare è ancora molto forte lì- ammette- per questo anche dopo la fine della guerra non è tornato quasi nessuno. Ci sono molti più anziani che giovani. Persino noi quando passeggiavamo per le stradine semi-deserte abbiamo sentito l’incombente presenza dell’esercito. La marina militare controlla tutto il litorale e l’isolotto antistante in cui un’antica fortezza olandese è stata trasformata in un resort di lusso per turisti cingalesi o stranieri. Al tempo stesso, però, c'è anche un certo fermento edilizio e per le strade del centro abbiamo notato diversi edifici in costruzione. T. ci dice che questo è anche merito dei vari tamil sparsi in tutto il mondo che inviano le loro rimesse a un'associazione internazionale che si occupa di raccogliere fondi per promuovere lo sviluppo dell'isola. C'è però ancora tanto da fare. Quando è scoppiata la guerra siamo scappati via tutti – continua T.- io avevo un cugino che è rimasto: è stato ucciso nel ’90 perché aveva diffuso dei volantini contro il governo cingalese. Aveva 15 anni. Risparmiandovi la descrizione della barbara uccisione, questo episodio tragico dà lo spunto a una riflessione più ampia sulla guerra e sugli attori internazionali coinvolti. Anche lui, come lo zio di T. che ci ha ospitato a Jaffna, ci dice infatti che l’India ha giocato un ruolo ambiguo durante il conflitto trentennale: formalmente appoggiava la causa tamil, ma contemporaneamente inviava armi e uomini a supporto del governo. Nell’ultima fase della guerra sono morti circa 500 soldati indiani in difesa dei cingalesi. Durante questo viaggio abbiamo avuto la conferma, però, che le cose non sono mai così nette come sembrano dall’esterno e che la realtà è molto complessa. Per questo motivo diciamo al nostro interlocutore di essere stati molto colpiti dal rispetto e dalla considerazione che i due gruppi etnici nutrono l’un per l’altro. Anche la popolazione cingalese, del resto, ha subito una guerra che non voleva, ma che è stata alimentata e portata avanti dal governo centrale. I cingalesi, infatti, pur vivendo lontano dalle zone di guerra sono stati vittime del regime mediatico che ha portato avanti una narrazione a senso unico del conflitto che dipingeva i tamil come i nemici per eccellenza. A questo proposito T. ci dice che qualcuno ha tentato di ribellarsi e per questo motivo, ad esempio, il caporedattore di un giornale cingalese è stato ucciso per avere cercato di narrare il conflitto in maniera diversa, meno unilaterale. Il nostro interlocutore non risparmia neanche critiche alle Tigri tamil che a suo giudizio erano troppo sicure di riuscire a conseguire una vittoria e per questo hanno indugiato eccessivamente in alcune fasi della guerra. Ascoltiamo T. senza batter ciglio, impressionate dalla sua conoscenza approfondita di tutte le dinamiche politiche e belliche. Forse lui ci può svelare il mistero della mediazione norvegese nelle trattative di pace all’inizio del 2000 di cui avevamo parlato l’ultimo giorno a Colombo con M. e il suo ragazzo. Ai nostri occhi, infatti, è alquanto strano che un paese della Scandinavia, che non ha mai avuto possedimenti coloniali, abbia cercato di fare da intermediario in un paese asiatico. T. per fortuna non delude le nostre aspettative e ci risolve l’arcano: la Norvegia ha il controllo del porto peschereccio di Jaffna con cui ha un commercio di import-export, per questo cercava di affrettare per via diplomatica la fine del conflitto.

 

Adesso è il turno di T. di chiedere una cosa a noi: vorrebbe infatti prendere una laurea magistrale e ci chiede se conosciamo delle università telematiche a buon prezzo. La triennale l’ha conseguita all'università pubblica, ma adesso che ha una famiglia e un lavoro a tempo pieno non ha più il tempo di seguire le lezioni. La sua intenzione, infatti, è quella di prepararsi al meglio in vista di un possibile trasferimento a Londra. Ci confessa che gli affari non vanno molto bene e per questo potrebbe decidere di lasciare Palermo per cercare lavoro nel Regno Unito, dove ormai abitano molti suoi parenti e conoscenti. Purtroppo noi non possiamo essergli utili perché non conosciamo per nulla il mondo dell’istruzione on line. Ormai però in questi nostri incontri ci siamo un po’ affezionate a lui e ci dispiace l’idea che se ne possa andare, ma capiamo che per T. un posto vale l’altro in Europa, l’importante è riuscire a vivere bene e assicurare un futuro alla figlia. Del resto - ci dice - forse ormai ci sono più tamil dispersi che in patria. Ci salutiamo, ma speriamo che questo non sia un addio.


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