Sono tornata dallo Sri Lanka da meno di una settimana: scendo le scale di fretta, ho un appuntamento con i miei amici e sono già in ritardo. A pianterreno però, incontro uno dei miei vicini tamil che sta tornando a casa appena ora, dopo un’intera giornata di lavoro. Prima di partire, avevo chiesto aiuto anche a lui, rivolgendogli la nostra solita domanda: “dove ci consiglieresti di andare in Sri Lanka?”. Per tutta risposta però, lui mi aveva detto che conosceva davvero poco il suo paese, dal momento che non si era mai spostato dalla sua isola, Kayts, e per questo mi aveva dato un bigliettino dicendomi di andare a chiedere informazioni al titolare di un negozio di alimentari poco distante da casa nostra. Nei giorni precedenti il viaggio aveva però sempre mostrato un certo interesse al nostro progetto e mi aveva chiesto a che punto fossero i preparativi. Ora ci rivediamo per la prima volta da quando sono tornata e mi accoglie con un immenso sorriso: Allora, com’è andata nel mio paese?  Inizio a raccontargli tutto il nostro itinerario e al momento di parlare di Kayts gli mostro le foto che abbiamo scattato quando eravamo lì: le commenta dicendomi i nomi delle chiese e riconoscendo tutti i negozi. A questo punto inizia ad aprirsi: mi racconta di avere vissuto in Sri Lanka quasi fino alla fine della guerra: abitavo a Kayts, ma lavoravo a Pungudutivu, che è là vicino. È arrivato a Palermo nel 2007 e tre anni dopo l’hanno raggiunto la moglie e il figlio, che all’epoca aveva solo un anno. Mi dice anche che lì abitano ancora i suoi genitori e suo fratello che ha quattro figli e al momento è disoccupato. Prima faceva il sarto, ma adesso è tutto chiuso, quindi io gli mando dei soldi ogni mese. Adesso comincio a capire il motivo della sua reticenza iniziale: le ferite delle guerra sono ancora fresche e fra di noi non c’era quella confidenza necessaria a condividere con me quei ricordi. E io che egoisticamente pensavo che semplicemente non avesse voglia di partecipare al nostro progetto. Ora il mio viaggio in Sri Lanka sembra averci unito. Continuiamo a parlare di Kayts e inevitabilmente anche delle tracce della guerra che porta ancora addosso, come una grossa cicatrice a sfigurare un bel volto: un mio cugino che è rimasto lì per tutto il tempo della guerra è stato colpito da un proiettile, ma per fortuna non è morto. Discutiamo anche delle recenti elezioni che ci sono state nel paese (Ah, ma allora ne sai più di me, ormai!) e della massiccia presenza ancora dell’esercito e della marina militare in territorio tamil a testimonianza del fatto che gli strascichi del conflitto sono ben lungi dall’essere un ricordo. Nella cosa che devi scrivere dillo che ancora non è finita, perché c’è ancora un sacco di gente in galera e la navy controlla ancora troppi posti!

Per stemperare l’atmosfera, gli mostro il buffo video del venditore di smacchiatori per abiti salito sul bus nella tratta Jaffna-Kandy: tra le risate, mi fa notare che il tipo parla in cingalese, cosa che, ovviamente nessuno di noi aveva notato! Gli parlo anche del matrimonio a cui siamo stati e, a conferma della vicinanza di tutti i membri della comunità tamil di Palermo, mi dice che sua moglie in Sri Lanka era vicina di casa T., il proprietario del ristorante che ci ha invitato al matrimonio del nipote: Si conoscono da piccoli, sono cresciuti praticamente insieme. Siamo stati quasi un’ora sul pianerottolo a parlare davanti alla sua porta di casa, ma adesso lui deve andare perché, mi spiega, per ora lavora anche di notte. Grazie davvero, grazie a te sono andato e ritornato dal mio paese. Adesso sono davvero molto in ritardo, ma non è una novità. Questa volta almeno ne è valsa la pena.