19 Agosto

Oggi siamo più mattinieri del solito, lasciamo l’albergo in largo anticipo e decidiamo di fare un giro per il mercato: Giuseppe è alla ricerca di una camicia bianca da indossare per il matrimonio che ci sarà tra due giorni. Francesca e Laura invece non comprano niente visto che T. ha detto che forse riuscirà a trovare per loro due sari per l’occasione.

Facciamo appena in tempo a contrattare il prezzo, che un clacson suona. Il pulmino è arrivato con T. e la sua numerosa famiglia: sorella, cognato, i loro tre figli, la mamma e il papà. E adesso ci siamo anche noi, parte del gruppo per un giorno.

Ho in mente un percorso con mille cose da vedere. Alla fine della giornata non ne potrete più!, ci preannuncia il nostro amico, credendo di scoraggiarci. Noi, invece, non vediamo l’ora di partire.

Cominciamo il nostro giro passando per la Biblioteca di Jaffna. Ci raccontano che è stata incendiata nel 1981, ma noi ne siamo già a conoscenza perché ce l’hanno già detto quasi tutti i tamil che abbiamo incontrato a Palermo. Tra il 31 maggio e il 1 giugno una schiera di ufficiali (secondo i tamil) o un manipolo di delinquenti (secondo il governo) dà alle fiamme l’edificio con i suoi 97.000 volumi, un patrimonio inestimabile per la cultura tamil. Sì, sì c’è stato un corto circuito, non l’hanno fatto apposta! ci dice T. con evidente ironia. Solo vent’anni dopo comincerà la sua ricostruzione, tra mille polemiche. Purtroppo ci accorgiamo che la Biblioteca è chiusa al mattino, aprirà nel primo pomeriggio. 

Proseguiamo per il Forte, costruito dai portoghesi e in seguito passato nelle mani degli olandesi. Si presenta come una grande fortificazione circondata da un fossato, al cui interno alcuni pannelli ricostruiscono la storia degli scavi archeologici del sito. I riflettori sono dunque puntati sul passato lontano e una sorta di oblio avvolge l’uso che se n’è fatto durante le cruente fasi della guerra civile. 

Infatti, se un turista camminasse da solo seguendo il breve resoconto storico-archeologico offerto dai pannelli informativi e dalla sua guida turistica non avrebbe la minima idea della sofferenza che questo luogo emana. E’ grazie alla famiglia tamil che ci sta accompagnando che possiamo recuperarne una parziale memoria. Voi non conoscete la mia storia, ma non posso parlare qui…ve lo dico a Palermo, ci sussurra il nostro amico. In realtà non riesce a trattenersi e, sebbene momentaneamente stia tacendo il suo vissuto, accenna comunque alla liberazione del Forte da parte delle tigri tamil. Nel 1990, dopo un assedio di 107 giorni, l’LTTE sottrassero l’area all’esercito cingalese, liberando i prigionieri.

Mio cognato è stato rinchiuso qui dentro una settimana, ci confessa T., sempre a bassa voce. Ci indica una specie di fossato, che un tempo era totalmente sigillato. Ero con altre 300 persone, tutti stipati qui dentro, senza acqua né luce. Questa volta è il diretto interessato, il cognato, ad intervenire nella conversazione. 

Rabbrividiamo alle sue parole e ritorniamo a leggere le informazioni contenute nel pannello: nessun accenno all’uso del forte come prigione nel recente conflitto.

Ma la memoria dei luoghi sopravvive in questi sussurri, in queste frasi spezzate pronunciate in italiano per evitare di farsi capire dai giovani soldati che, intanto, da qualche minuto hanno preso a seguirci. T. e il cognato sembrano tesi. Ci chiedono di allontanarci perché pensano che ai soldati cingalesi non piaccia che dei tamil stiano confabulando con dei turisti. Non facciamo capire che siamo venuti insieme, ci dicono. Ci dileguiamo e, fortunatamente, dopo qualche istante anche il corpo armato si defila. Tiriamo tutti un sospiro di sollievo e proseguiamo nella visita della cinta muraria, contemplando dall’alto i nonni che, in disparte, si scambiano delle affettuose carezze. È sorprendente vedere come questa famiglia si riappropri di questo luogo ed esorcizzi la memoria dolorosa attraverso battute, aneddoti e foto in pose scherzose ad ogni angolo o davanti a scritte in cingalese inneggianti al governo. Sembra che stiano facendo una normale visita turistica, ma in realtà stanno mettendo piede dopo anni di interdizione in un luogo al tempo stesso simbolo della resistenza e dell’efferatezza della guerra.

Saltiamo sul pullmino e ci dirigiamo verso il Tempio di Nallur, uno dei più importanti del paese. La strada però è chiusa a causa di una processione e i nostri accompagnatori decidono di deviare verso un piccolo museo archeologico situato nei dintorni. E’ un po’ alla buona, allestito di fretta per evitare il saccheggio e la distruzione dei reperti durante il conflitto, ma ricco di cose interessanti. Ad esempio, ci soffermiamo davanti a un’iscrizione in lingua tamil risalente al XIII secolo: questa è una delle prove dell’antichità della cultura e tradizione tamil, non come vogliono fare credere i cingalesi!  - ci dice T. che non smette mai di fare foto. 

Dopo una mezz’oretta ritentiamo la fortuna e riusciamo a raggiungere il tempio. Siamo colpiti dai colori sgargianti, dagli odori e dalla musica. Ci fanno notare che i devoti rotolano sulla sabbia lungo il perimetro del tempio ogni giorno per 25 giorni. Le donne invece si inginocchiano ogni 5 passi. E’ come il fioretto per Santa Rosalia, ci spiega T. Lì si salgono le scale in ginocchio e, addirittura, sui ceci, qui si rotolano. Dopo aver trascorso un po’ di tempo a girare, il nostro amico ci chiede di accompagnarlo per fare un atto di devozione. Spacca un cocco sul terreno e ci spiega che questo verrà poi utilizzato per fare dell’olio.

Il caldo e un certo languorino si fanno sentire e, finalmente, arriva il momento che aspettiamo tutti: il gelato! Proponiamo il Rio Grande perché è stato segnato sulla nostra mappa. Deve essere davvero buono, perché anche loro hanno intenzione di andare lì. Non ci resta che ordinare il tipo di gelato che ci era stato suggerito da un nostro amico tamil a Palermo: il rio special.

Quasi davanti alla gelateria c’è una sorta di piedistallo, ma manca una statua che lo completi. Anche qui si potrebbe passare senza accorgersi di nulla ma quel nulla ha una storia. T. ci racconta che la statua, fatta sparire dal governo centrale, raffigurava uno studente morto a causa di uno sciopero della fame. Il ragazzo, infatti, aveva deciso di insediarsi a Nallur, il tempio hindu più importante del paese (è come per voi il Vaticano- ci dice una nipote di T.) e non mangiare in segno di protesta contro i massacri perpetrati a danno dei tamil. Di tutta questa storia non è rimasta che un’altra traccia spettrale.

Dopo aver fatto questo lauto spuntino a base di rotty e gelato, riprendiamo la nostra visita. Mica abbiamo finito qui!, ci dice scherzosamente T.

Continuiamo infatti il tour spostandoci nella zona di Point Pedro, disseminata di parecchi templi. La sorella ci tiene molto a spiegarci passo dopo passo le varie liturgie, dato che per ora ci sono parecchi festival hindu in corso. Nel primo tempio ne approfittiamo per mangiare del riso su una foglia di banano anche se siamo pienissimi. 

Dopo una sosta in una sorta di laghetto (ma con acqua di mare) creato artificialmente da una diga continuiamo per il Valippura Kovil, il tempio serpente.  Siamo già in giro da circa 5 ore e cominciano i borbottii e le lamentele dei figli e dei nonni: ad ogni fermata siamo sempre in meno a scendere! 

Mentre visitiamo il tempio, una famiglia tamil londinese ci ferma per fare una foto insieme. Che ci fate qui? ci chiedono le due ragazzine, incredule. Mentre raccontiamo della nostra vacanza, chiediamo cosa ne pensino dello Sri Lanka visto che sono qui per la prima volta: vogliamo tornare a Londra! Non ne possiamo piu di visitare templi e di bruciare cose!

Una visione diametralmente opposta a quella di T. che invece non fa che ripeterci di quanto sia felice di essere ritornato a casa dopo tanti anni. All’ennesimo tempio in cui chiede di fermarsi scoppiano le proteste plateali dei parenti e la madre decide di pregare dal pulmino. Cosa volete? Aspetto questo momento da 26 anni. Questi posti li avevo visti solo su Google, ci confessa, emozionato come un bambino.

Il caldo e la stanchezza cominciano a farsi sentire e i nostri amici decidono dunque di dirigersi verso un lussuoso resort, il Thalsevana holiday resort,dove a detta del nostro contatto potremo fare il bagno. Il posto come tanti altri nella zona di Jaffna, è controllato dall’esercito e anche all’interno il personale è cingalese. Per entrare, l’autista e il padre di T. sono costretti a impiastricciare qualche parola in cingalese e a pagare le guardie d’ingresso. Prima non era così, ci dicono con amarezza i parenti di T. . Gli inglesi infatti avevano creato una grande mensa, proprio adiacente alla zona balneare, poi tutta l’area è stata conquistata dal governo. Questo clima di controllo e mancanza di libertà mette molto a disagio i nostri amici che infatti, dopo poco tempo, decidono di andare via e rimandare il bagno a un luogo più rilassante.

Ci dirigiamo dunque verso il tempio Keerimalai Naguleswaram, molto importante per gli induisti, in cui si trovano due sorgenti di acqua naturale adattate a piscina. Purtroppo non possiamo entrare perché Francesca e una delle nipotine di T. sono ‘impure’ secondo i dettami del tempio.

Lungo la strada, però, facciamo ovviamente un’altra sosta in un santuario, questa volta dedicato ad una gigantesca mucca salvata dal macello. Basta zio, non ne possiamo più! Gridano in coro i nipoti. Forse un po’ di stanchezza si fa sentire e il sole sta già tramontando: è il momento di tornare a casa.

 Abbiamo però appena il tempo di fare una doccia perche T. ci comunica che lo accompagneremo alla festa di compleanno di un bambino del villaggio che compie un anno. Raccogliamo le ultime forze e ci incamminiamo. Si tratta di una festa in grande stile: festoni, musica sparata a palla e un vero e proprio ricevimento. T. ci spiega infatti che la madre del bambino ha avuto una situazione familiare difficile che ora invece si è conclusa grazie al matrimonio con un altro uomo e la nascita di questo bambino. Questa festa dunque funge da presentazione ufficiale della nuova famiglia a tutto il villaggio: per questo motivo non hanno lesinato nel cibo e negli addobbi! La sala centrale è organizzata come un palcoscenico sul quale di volta in volta salgono gli invitati per fare le immancabili foto di gruppo. Anche noi veniamo “incastrati” in questo rituale sociale: tra qualche anno i genitori guarderanno la nostra foto chiedendosi chi saranno mai stati quegli intrusi stranieri!