13 agosto


Dopo circa 12 ore di viaggio, atterriamo di mattina all’aeroporto di Colombo: dal finestrino, poco prima di arrivare si distingue solo una folta vegetazione avvolta in una densa nube di afa. Nei giorni precedenti ci eravamo sentiti con uno dei nostri contatti tamil di Palermo che avrebbe detto che sarebbe tornato in Sri Lanka proprio il giorno prima del nostro arrivo, dopo avere passato qualche settimana di vacanza nell’India del sud. Poco prima di partire, infatti, S. ci dà la conferma: il 13 mattina sarà lì ad aspettarci in aeroporto, anche se questo significherà per lui restare un giorno in più a Colombo proprio per noi, visto che la moglie, invece, una volta rientrati in Sri Lanka, si dirigerà subito alla volta di Jaffna. Passati rapidamente i controlli del passaporto, scorgiamo subito S. tra la folla; fino a quel momento aveva parlato solo con Laura, ma dopo le presentazioni si rompe subito il ghiaccio anche con gli altri due compagni di viaggio. Non tardiamo ad accorgerci subito del muro invisibile che separa tamil e cingalesi dal punto di vista linguistico e politico, muro che a volte è stato abbattuto, ma che invece ricompare all’improvviso anche nelle occasioni più banali. Il nostro amico, infatti, si offre di aiutarci a comprare una scheda telefonica sri lankese, in modo da potere avere internet durante il nostro soggiorno. Ci avviciniamo al banco di un operatore telefonico  e  S. inizia a chiedere informazioni in tamil: capiamo che c’è qualcosa che non va perché l’impiegato sembra infastidito e si rivolge a lui in un inglese stentato.  Era un cingalese, qui a Colombo lo sono in maggioranza, ed evidentemente a lui non stanno molto simpatici i tamil, ci dirà uscendo dall'aeroporto. Prendiamo un autobus che ci porta in centro città: le strade sono caotiche e affollate come ci aspettavamo e dopo aver fatto un piccolo giro per Pettah, ci sediamo in un bar per prendere un succo di frutta. S. sembra impaziente di farci conoscere tutte le specialità culinarie del paese e già fa mille programmi per quando lo raggiungeremo a Jaffna. Stavolta non c’è nessun imbarazzo linguistico: i proprietari del posto sono anche loro tamil e scambiano volentieri qualche battuta con il nostro amico. Questo episodio ci offre lo spunto per parlare un po’ della comunità tamil a Palermo: qualche anno fa eravamo di più – ci dice- circa 8000, ora il numero si è abbassato a 5000 perché molti sono andati a vivere principalmente a Londra. Sappiamo invece che a Catania c’è un'importante presenza di cingalesi: in qualche modo si riproduce l’annosa rivalità calcistica tra le due città anche attraverso la storia dello Sri Lanka, osserviamo noi in maniera scherzosa. Sì, a Catania ci sono sempre stati i cingalesi, ma adesso si stanno trasferendo anche a Palermo, al momento ce ne sono circa 300. Finito di sorseggiare il nostro mango juice ci salutiamo: chiamatemi appena arrivate in ostello e fatemi sapere se è tutto a posto!

S. deve prendere il pullman per Jaffna e lo aspettano circa 6 ore di viaggio, ma il nostro è solo un arrivederci alla prossima settimana. 

Dopo aver posato i nostri zaini in ostello, andiamo a fare un giro della città: abbiamo infatti a disposizione solo mezza giornata, dato che Colombo rappresenta per noi solo un punto d’arrivo e domani mattina ci sposteremo nell’entroterra, a Dambulla. Come prima tappa decidiamo di andare nella zona centrale del Colombo Fort in cui sono ancora visibili molti edifici di stampo coloniale. Quello che ci salta subito agli occhi è che la città è in pieno fermento edilizio: incontriamo cantieri quasi ovunque e i progetti in fieri hanno come scopo quello di rendere più “moderno” - cioè occidentale - lo spazio urbano attraverso la costruzione di grandi palazzi e grattacieli. Anche quando ci allontaniamo dal centro constatiamo che la tendenza è la stessa: l’obiettivo è quello di “gentrificare” le zone più popolari abbattendo le case esistenti e costruendo nuovi edifici più lussuosi e quindi più onerosi per i vecchi abitanti che saranno così costretti a trasferirsi in quartieri più periferici. Dopo il Colombo Fort, infatti, andiamo a Slave Island, quartiere chiamato così dagli inglesi perché durante il governo dei portoghesi e degli olandesi era la zona in cui venivano tenuti gli schiavi africani impiegati nelle piantagioni. Anche se il progetto di riqualificazione urbana, nei prossimi anni cambierà il volto di quest’area, si notano molte differenze rispetto al centro: edifici di piccole dimensioni, in parte abbandonati o semi-distrutti. La cosa più affascinante di questa zona è vedere come si susseguono, dando vita a una commistione architettonica e religiosa a cui noi non siamo abituati, templi induisti e buddhisti, moschee e chiese cristiane. 

Parlando con qualche conducente di tuk tuk o con le persone incontrate per strada l’impressione iniziale è che adesso vi sia una convivenza pacifica tra queste quattro religioni e tra i due gruppi etnici che sono stati in guerra per 30 anni: tamil e singalesi. Ovviamente è ancora presto per esprimere un pensiero al riguardo, tanto più che Colombo non è mai stata teatro diretto degli scontri, dal momento che la guerra civile si è svolta esclusivamente nel nord est del paese, in area tamil per l’appunto. Solo in occasione di episodi sporadici, e per lo più relativi ai primi anni di conflitto, ci sono stati alcuni attentati organizzati dalle tigri tamil e momenti di dura repressione da parte del governo nei confronti dei tamil residenti in città. Dopo Slave Island andiamo a Union Place, perdendoci nei vicoli strettissimi e colorati in cui non si vede nessun turista. Per questo motivo attiriamo un po’ l’attenzione degli abitanti del quartiere che sembrano leggeremente più diffidenti nei nostri confronti rispetto alla gente incontrata in altre zone della città, ma non per questo meno ospitali e sorridenti.

Diverse scritte in arabo sugli edifici, così come la presenza di svariate moschee e di molte donne che indossano il niqab ci fanno intendere che in questa zona abitano molte persone di religione musulmana, terza per diffusione dopo buddhismo e induismo.
Anche se si sta avvicinando il momento del tramonto l’afa è ancora insopportabile, per questo motivo decidiamo di tornare verso il centro per fare una passeggiata sul lungomare. 

Andiamo al Galle Face Green, tradizionale luogo della passeggiata pomeridiana per molte famiglie e coppie. Venditori ambulanti di pesce fritto e dolci, bambini che giocano con gli aquiloni e gente assorta in contemplazione dell’oceano: alla fine non sembra poi di essere così lontani da Palermo!