21 agosto

Ricordate quando siamo andati a trovare T. nel suo ristorante? Lì abbiamo ricevuto un invito per noi molto speciale: la possibilità di partecipare al matrimonio del suo “nipotino”, in realtà un nostro coetaneo, forse il primo tamil nato a Palermo, poi partito per Toronto con la famiglia in cerca di migliore fortuna.

Quel giorno eravamo così contenti della notizia dall'aver stravolto il nostro itinerario in modo tale da ritrovarci a Jaffna proprio per tale occasione.  Ma il tutto dipendeva da una catena di “se”: se T. fosse riuscito a superare i controlli in aeroporto; se noi fossimo riusciti a trovare il suo villaggio, se il suo invito di accogliere degli sconosciuti fosse stato ancora valido, forse allora avremmo potuto dire: questo matrimonio s’ha da fare.

Ora siamo davvero qui, seduti ad uno dei tanti tavoli della sala ricevimenti, e fa strano ripensare a quelle parole, scambiate quasi un mese prima, e osservarle mentre prendono corpo e si fanno vive, reali, concrete.

La notizia della nostra possibile partecipazione ad un matrimonio nel villaggio di Panipullam si era diffusa anche a Palermo, tanto che la vicina di Francesca si era offerta di prepararci dei sari su misura. Ma nel nostro zaino non c’era molto spazio e adesso ci ritroviamo a sperimentare quella famosa arte dell’arrangiarsi.

Se venite verso le 4 del mattino mia sorella può farvi provare i suoi di vestiti! ci aveva rassicurato T. il giorno prima vedendoci nel panico. LE QUATTRO del mattino. Avete letto bene. Ci siamo guardati negli occhi, poi la sentenza finale: Ci mettiamo i vestiti sgualciti che abbiamo, ma almeno dormiamo un po’.  Il tour de force degli ultimi giorni ci ha messo infatti a dura prova per poter davvero pensare di riuscire a svegliarci così presto.


La cerimonia inizia alle 5 del mattino ma noi ci mettiamo in cammino un po’ dopo, credendo di riuscire ad orientarci tra le molteplici viuzze del villaggio. Ma il tempo passa e i bivi si moltiplicano, insomma dobbiamo accettare la sconfitta: non sappiamo dove ci troviamo.

Dopo aver chiamato T., un piccolo van si materializza a pochi passi da noi. Saliamo e insieme ad altri invitati arriviamo alla sala di ricevimento. In realtà si tratta di un grande complesso con un giardino e un teatro che tra poco tempo sarà a disposizione dei ragazzi della zona che potranno così dedicarsi a varie attività ricreative. Fortemente voluto dallo zio di T., si rivelerà probabilmente un ottimo centro di aggregazione.

Arrivati, veniamo accolti da T. che ci fa prontamente sedere ad un tavolo. Mentre raccontiamo la nostra gita di ieri con S., ci vengono offerti dei succhi di frutta. A poco a poco il resto della famiglia viene a salutarci e altri invitati si avvicinano, tanti altri invece ci osservano da lontano, altri ancora per fortuna non si curano della nostra presenza. 

Ma i nostri occhi sono puntati sui due giovani sposi che la platea può contemplare sul palco del teatro. Alla destra e alla sinistra del palco i parenti delle due famiglie fanno continuamente delle offerte accompagnate dalla musica. Sembra un set cinematografico con tanto di riflettori, fotografi e assistenti che consigliano le posizioni da tenere.

Anche S., che ieri aveva trascorso una intera giornata con noi, ci raggiunge. Ma ha davvero un cuore d’oro e trascorre gran parte del tempo ad aiutare la famiglia di T., servendo da mangiare nel grande tavolo da buffet che è stato allestito. Il cibo è vegetariano, dato che oggi si svolge il rito religioso. Fra due giorni, quando noi partiremo, si terrà la fase finale della cerimonia matrimoniale e in quell’occasione si potrà mangiare anche la carne. Ovviamente ci fiondiamo sul cibo, nonostante siano solo le undici del mattino. 

Dopo mangiato tocca anche a noi salire sul palco per rendere omaggio agli sposi. Entriamo nel panico perché secondo il rituale dovremmo prendere del riso con le mani e farlo scivolare dolcemente sul corpo degli sposi per tre volte (prima sulle braccia, poi sulle spalle e infine sulla testa) a mo’ di benedizione. Superiamo l’imbarazzo e la goffaggine ed eseguiamo il compito, ricevendo il ringraziamento dei due ragazzi che, francamente, sembrano molto stanchi e annoiati.

Il papà dello sposo (alla vostra sinistra) è invece su di giri: più che per il figlio, però sembra elettrizzato dalla nostra presenza: E’ un onore per me avere degli ambasciatori di Palermo, dice ridendo. A questa città devo tutto quello che ho. Quando scendiamo dal palco infatti ci racconta di essere stato uno dei primi Tamil a sbarcare a Palermo. Ha imparato l’italiano per poter trovare un lavoro e da lì ha diretto una migrazione a catena, aiutando i suoi concittadini in diaspora con tutti i mezzi che poteva. Dopo qualche anno si è invece spostato in Canada.

L’emigrazione è stata un’arma a doppio taglio – ci fa notare T. intervenendo nella conversazione - Noi siamo scappati dalla guerra perché i cingalesi volevano tenere tutto per sé. Nella disgrazia, però, poi abbiamo fatto i piccioli e torniamo in un paese in cui loro ora sono i poveri.

Mentre discutiamo piovono dolciumi di tutti i tipi, la zia e la sorella di T. si alzano accennando un ballo, sfortunatamente senza avere un seguito. C’è caldo e siamo strapieni.  T. prende l’occasione per raccontarci la storia d’amore tra suo zio, l’avvocato, e la zia, una donna bella e misteriosa. La loro è stata una vera e propria fuitina, ragazzi!  Ma è solo l’inizio, perché alla fine della giornata sapremo vita, morte e miracoli di tutti. Ovunque ci volgiamo, d’altronde, troviamo qualcuno disposto a raccontarci una storia. Non ci rimane che metterci all’ascolto.

T. ad esempio ci racconta di essere scampato alle bombe di Jaffna ma non ai terribili boati della Palermo del’92. Quando hanno ucciso il giudice Borsellino, io stavo giocando con mia sorella vicino allo stadio. Ricordo ancora il boato pauroso e l’allarme impazzito delle auto posteggiate. Abbiamo vissuto la stessa storia, la stessa città, con le stesse paure ed emozioni. In T. tutto questo è ancora più evidente perché non ha voluto seguire la famiglia in Canada, decidendo ostinatamente di restare a Palermo.

Noi palermitani ci teniamo al contatto con le persone – continua T. - Mio padre dice sempre, quando torna a Palermo per sfuggire al rigido inverno canadese: torno al mio paese! A proposito, ora vi racconto la storia del mio papà…

Sorridiamo mentre T. sfoggia le sue evidenti doti di narratore. Ci racconta della sua famiglia caduta in disgrazia nonostante la casta alta a cui apparteneva e del duro lavoro che suo padre ha dovuto svolgere per mantenere i figli e anche i nipoti, come nel caso dello zio di cui siamo ospiti, che grazie ai suoi sacrifici ha potuto studiare e diventare un notissimo avvocato e intellettuale, riabilitando così il nome della famiglia. Le caste sono abolite, ma ancora il concetto è troppo radicato nella cultura tamil, aggiunge la sorella. Ci spiega infatti che a Toronto, dove vive, questo fenomeno si presenta sotto svariate forme: La madre di una compagna di mia figlia vuole che lei frequenti solo persone di casta medio-alta. A noi, invece, non importa.

In ogni famiglia non può poi mancare il parente pazzo, un po’ fuori dagli schemi. E’ il caso di un signore magrolino e con gli occhiali molto spessi e rattoppati alla meno peggio che siede accanto al nostro amico. E’ molto buffo nei suoi gesti e parole. Ma capiamo che c’è qualcosa di più profondo quando finge di sparare con una mitragliatrice creata dalle sue mani. Ha perso un figlio durante la guerra e da lì è impazzito – ci sussurra T. – da tanti anni ormai veglia sui cadaveri la notte prima che vengano bruciati…

Dopo tante storie d’amore e di sofferenza, è ora che i due sposi firmino gli atti del matrimonio che prevedono la cessione di una proprietà della famiglia di lei. Si tratta di un matrimonio combinato e la cessione dell’immobile ha perlopiù un valore simbolico. La ragazza infatti raggiungerà lo sposo in Canada.

Terminata la celebrazione ufficiale, sorge un dubbio. Le famiglie non sanno se si debba passare prima dalla casa della sposa o dello sposo. 

Ognuno ha una sua versione del rito e dopo alcune discussioni ci dirigiamo infine dalla sposa per poi ultimare la celebrazione a casa dello zio di T. che in queste settimane ha ospitato il fratello, ovvero il papà dello sposo.


Anche noi stiamo dormendo a casa dello zio in questi giorni. Così, una volta congedati i vari invitati, ne approfittiamo per chiacchierare con il padrone di casa…